Ha il fisico asciutto e scattante di un giovanotto
Paul-André Fortier (Montréal, 1948). Una fisicità perfettamente coerente alla sua ricerca sul gesto, che combina levità e rigore. Iniziato più di 35 anni fa, il suo progetto continua a essere caratterizzato da una freschezza e da una partecipazione che conquistano. Trovarselo lì, volteggiante, nella piazza romana di San Lorenzo in Lucina, come in preda a una sorta di sottile ispirazione, trenta minuti al giorno per trenta giorni, spiazza e coinvolge allo stesso tempo.
Balla con qualsiasi tempo, Fortier, dalle intemperie al solleone. I “passi” sono sempre gli stessi, ma il danzatore ogni volta li sincronizza su ciò che in quel momento lo circonda: cose, persone, rumori, chiacchiericci. È questa la sua musica. È su questo tappeto sonoro che il ritmo, le intensità dei gesti, gli stessi sguardi vengono calibrati. E anche il pubblico, che osserva apparentemente immobile, fa parte di tutto questo.
Osserva, semplicemente, e mette in scena la sua “danza quotidiana” -fatta di tic, azioni volontarie e involontarie, espressioni tipiche- divenute tracce nelle eteree movenze dell’artista.
Danzare col pubblico e per il pubblico. Rito sciamanico, immedesimazione con l’altro, pura formale ispirazione? La semplicità dei gesti commuove. Fortier non stacca quasi mai i piedi da terra. È la terra, in primis, il punto di partenza delle sue creazioni nello spazio. Si tratta della ricerca di un linguaggio intuitivo, immediato, che risponde alle vibrazioni di tutto ciò che lo circonda, come perlustrando, però, saperi antichissimi, attraverso discipline orientali come lo yoga.
Ma c’è anche l’altro aspetto, quello della peculiarità dei luoghi dove il coreografo canadese si esibisce. Ci sono spettacoli che chiedono al loro pubblico di uscire da schemi prefissati e darsi completamente in pasto alla visionarietà dell’artista. Una volta poi che questo spettacolo scende in strada, si prende i suoi rischi. Ma anche le sue soddisfazioni, se la sfida riesce. Come anticipa la scheda, quella di Fortier è “
una sfida effimera e pericolosa a ‘guardare e decidere se tirare diritto per la propria strada oppure prendersi il lusso di fermarsi’. In un contesto tanto irrituale, le evoluzioni del corpo scommettono sulla rivelazione del desiderio di trasgressione e di libertà, ponendo l’accento sulla realtà urbana, sullo spazio riservato alla vita delle persone, sulla loro alienazione e sul loro riscatto. Come dice sempre Fortier, ‘Il danzatore si attende la presenza del pubblico, ma non aspetta nessuno: lo troverete senza cercarlo’, in uno spettacolo a ingresso libero e, finalmente, senza prenotazione obbligatoria”.
Questo è quindi lo scopo: raccogliere il pubblico intorno a sé come verificarsi di un atto spontaneo e intuitivo, il risultato di una scelta inconsapevole, nata per caso. Ma che si rivela, nel momento in cui viene a compimento, estremamente significativa.