L’ora è tarda. La sala è affollata, rumorosa. D’improvviso, il silenzio: l’attenzione del pubblico si focalizza sui due artisti che condividono la scena. Il primo, il danzatore e coreografo belga
Julien Bruneau, il secondo, il fotografo e regista palestinese
Mohanad Yaqubi. Il
work in progress si apre sui loro rispettivi “autoritratti”. Con una mistione di ruoli e d’identità giocata sul potere del teatro di collocare ogni cosa su un piano finzionale. Sulla pedana che funge da palco, altri personaggi: fotografi (palestinesi) che, uno scatto dopo l’altro, riprendono le movenze fluide dei ballerini (europei) mentre seguono la musica di
Reem Yaqubi.
L’atto del fotografare, “
riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato dell’evento” (Cartier Bresson), è qui la
summa delle variegate sfaccettature di una “storia”, quella della danza, quella del fotografo, quella della danza per il fotografo. E di questa storia, attraverso le immagini -visibili in simultanea su grandi schermi- l’osservatore percepisce la soggettività trasmutata dal punto di vista e dalle scelte di chi sta dietro la macchina fotografica. Ci s’interroga, di fatto, sulla questione del reale e della sua rappresentazione. Sulla molteplicità di azioni implicate in una testimonianza e nella creazione di una memoria, della sua condivisione e della possibilità di esserne deprivati.
Tutte riflessioni che scaturiscono dal progetto degli
Idioms film, collettivo di fotografi, video, cineasti, con sede a Ramallah, dove si impegnano perché quella parte dei Territori diventi più sensibile alla cultura.
Al Brancaleone si sperimentano, insieme al danzatore belga Bruneau, nella sezione
Cantieri, luogo d’incontro e di lavoro tra giovani artisti del festival. In particolare, l’idea della performance è nata dalla considerazione di come i palestinesi, con i loro corpi sempre esposti all’obbiettivo di altri, finiscano per vedersi attraverso la lente deformante delle infinite immagini che li inquadrano. Come vittime, come miserabili. Perennemente sotto occupazione. Col rischio di perdere la propria identità. Ecco che invece con Bruneau si capovolge la situazione, dato che quello esposto ai flash palestinesi è adesso il corpo di un europeo. “
Per una volta”, affermano gli Idioms film, “
siamo noi a raccontare una storia”.
Per reiterare questa volontà di ri-possesso della propria memoria, il collettivo propone in contemporanea il filmato
Videoarte da Ramallah e la mostra
Invisible. Serie di immagini, queste, che aspirano a cogliere svelandola una realtà fuoricampo, perché “
l’invisibile non è il contrario del visibile ma lo completa. Entrambi formano l’immagine e la storia”.