Il Patalogo, pubblicazione annuale diretta da Franco Quadri, è stata come di consueto presentata al pubblico durante la consegna dei Premi Ubu, che quest’anno han decretato quale miglior spettacolo dell’anno I pescecani della Compagnia della Fortezza, per la regia di Armando Punzo.
Il Patalogo, che deve il titolo alla immaginifica scienza patafisica di Alfred Jarry, è l’unico annuario del teatro italiano, in 348 pagine raccoglie tutto quello che è accaduto sulle scene italiane e internazionali nel corso della stagione teatrale, e non solo. Il Patalogo è un bestiario culturale, un ottimo strumento per gli addetti ai lavori, una altrettanto valevole “enciclopedia” per gli appassionati degli “sconfinamenti indisciplinati” fra le arti, impreziosita da un ricco apparato iconografico.
In copertina spicca, su fondo giallo ocra, l’urlo violento dell’Amleto impotente del visionario Hamletmaschine di Egumteatro, una denuncia dello sconfortante status quo del teatro nostrano che agonizza a causa dei massicci tagli e dell’incuria dei teatri poco inclini ad ospitare e produrre le compagnie di sperimentazione, sistematicamente assenti dai cartelloni delle loro stagioni e che costringe, chi può, a migrazioni verso le “periferie” del Paese o all’estero.
L’annuario non si limita a registrare sterilmente l’accaduto ma rischia, sceglie un punto di vista preciso, coglie nuovi germi creativi, focalizza impietosamente rami secchi ed evidenzia felici affermazioni. Le singole sezioni, che catalogano in rigoroso ordine alfabetico compagnie, spettacoli, premi, mostre, convegni, festival, sono descritte e commentate da recensioni e redazionali che non risparmiano critiche o encomi.
In coda, lo speciale, a cura di Franco Quadri e Renata Molinari, Per esempio, il corpo e la parola, un approfondimento che “interpreta le tendenze della stagione”. Punto di partenza due laboratori paralleli, nati all’interno di Projet Thierry Salomon, che hanno in comune l’essere estremi: quello del belga Jan Fabre che evidenzia il corpo, il suo essere liquido, e quello del quebecchese Denis Marleau “portavoce assoluto della parola”. Autentici fils rouges della stagione 2003-2004 sono il crudele Titus Andronicus scespiriano, del quale sono state rintracciate cinque diverse riletture, e l’insistenza delle compagnie sulla tragedia greca, materia malleabile nelle mani di registi e drammaturghi capaci di originare spettacoli che vanno “dall’attualizzazione alla documentalità, alla farsa circense, alla tragedia medievale”. Queste molteplici varianti della tragedia, le poliedriche interpretazioni di Emma Dante, Mario Martone, Motus, Luca Ronconi, Teatrino Clandestino, Societas Raffaello Sanzio, fra gli altri, sono il corposo approfondimento che chiude questo Patalogo, dedicato a Laura Betti.
elena bari
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