Uno spettacolo geografico. Così
MK, nota formazione indipendente e autodidatta della danza contemporanea, ha definito il suo ultimo lavoro dal titolo
Comfort, che a fine agosto ha aperto
Danza Urbana, festival bolognese giunto alla dodicesima edizione e che investiga il rapporto tra coreografia e architettura, danza e paesaggio urbano.
I quattro performer riscrivono lo spazio attraverso la danza e il sonoro, alla ricerca di luoghi in cui sia possibile abitare.
Comfort, dunque, rimanda a un senso di familiarità, a un luogo addomesticato e riconoscibile. L’azione si svolge su due spazi, fondale e scena, che tracciano rispettivamente la dialettica tra ambiente domestico e ambiente esterno; sentirsi a casa, sentirsi fuori luogo: una dialettica continuamente reversibile. Sul fondale, dove un tavolo, una specie di tenda, un letto ribaltato e numerosi pannelli creano un ambiente domestico asettico e precario,
Michele Di Stefano, fondatore e coreografo del gruppo, è impegnato in un lento e inesorabile trasloco. Sulla scena dell’Aperto, delimitata da un rettangolo nero, entrano ed escono tre danzatori.
Cristina Rizzo esplora lo spazio attraverso un alfabeto gestuale che di volta in volta si combina differentemente, una sorta di fraseggio insieme puntuale e squinternato.
Biagio Caravano e
Philip Barbut si muovono in coppia, quasi a specchio, e i loro movimenti sembrano essere guidati, o meglio schiacciati da una mano invisibile.
Talora i tre corpi formano un trio, ma la relazione è sempre illusoria; invece di incontrarsi si schivano. Gli appuntamenti sono mancati, la prossimità si sfalda, i gesti si rivolgono all’esterno e si perdono.
Lo stesso accade ai fischi dei tre danzatori e alla perfomance sonora di Michele, un brano degli Underworld che si trasforma in ululato, un richiamo disperato che si perde nel buio della scena. Insomma, gesti e voce non riescono ad avere una presa sul reale. La permanenza è provvisoria e l’unica forma di condivisione è il crollo.
Crollano i tentativi di casa che Michele mette in piedi e lo costringono a traslocare. Addirittura, nelle versioni dello spettacolo precedenti a Bologna, crollano i “mobili” della “casa” perché sorretti da zollette di zucchero bagnate. E nel crollo, accompagnato dalla macchina del fumo, i mobili sembrano improvvisamente tanti condomini a cui cedono le fondamenta e la sensazione è quella di un enorme
ground zero. Anche i danzatori cercano di ritagliare nello spazio un luogo confortevole, che sia appunto agio e consolazione rispetto allo spaesamento dell’Aperto. Si pensi alla cuccia-sasso in cui si trasforma per un attimo il corpo di Rizzo avvolto da una coperta, o ancora dai corpi di Caravano e Barbut che, sempre avvolti da coperte, sembrano statue che pregano o piuttosto cactus nel deserto. Tuttavia, la quiete è momentanea e le figure si disfano non appena raggiungono l’equilibrio.
La ricerca del luogo, la perlustrazione senza tregua è una ricerca di appartenenza, di identità. Ma l’appartenenza e l’identità vengono negate. Rimangono disseminate nello spazio, come macerie: elementi di folklore. La musica cretese inserita nel tappeto sonoro creato da Di Stefano, il sirtaki interpretato dal duo Caravano-Barbut, la danza curda di un rifugiato politico. Purtroppo, quest’ultima non compare nella versione bolognese di
Comfort ed è un vero peccato, perché più ancora degli altri elementi rimarca il carattere politico dello spettacolo, che non a caso è nato dopo una residenza di MK presso il centro romano di accoglienza Enea per rifugiati e richiedenti asilo.
È evidente, infatti, come questa commistione di elementi vada a costruire un’identità nomade, in cui codici e tradizioni vengono rimescolati, non senza ironia. Basti pensare alla coppia Caravano-Barbut che, mentre interpreta la danza greca, ricorda allo stesso tempo il tip-tap di Ginger e Fred e i rompicapo di Dammelo e Dimmelo, i gemelli che l’
Alice di Carroll incontra in
Al di là dello specchio.
La via percorsa da MK è un’esplorazione archeologica dei luoghi che disegna un’inquieta geografia dei poteri, in cui l’appartenenza non è mai data. Più che geografico,
Comfort può definirsi uno spettacolo geopolitico.