È una parola trat-tenuta la protagonista nascosta di Incunabula. Questo il titolo delle giornate internazionali di Immaginazione teatrale, danza, musica e computer art ideate e organizzate dalla Socìetas Raffaello Sanzio a Cesena (dal 14 febbraio al 22 aprile 2007). La rassegna nasce da una precisa volontà -estetica e ideale- riconducibile al tema della nascita della parola e alla ricerca della sua origine. La via espressiva dominante di Incunabula è l’azione muta, che si esprime attraverso la musica e la danza, arti tradizionalmente esonerate dalla supremazia del determinante. Ma si tratta di un programma che allude continuamente alla parola, anche se questa manca, per scoprirne la genesi e l’essenza. Quasi un corteggiamento del linguaggio umano verbale, prima di qualsiasi alfabeto, o una nostalgia, dopo la sua usura e consumazione. L’ambivalenza è data anche dal titolo della rassegna: gli incunabula infatti sono dei codici del quindicesimo secolo, un’evidente allusione ad una forma ormai morta di trasmissione del sapere, che tuttavia si posiziona prima dell’avvento del libro e ne precede l’origine.
Le giornate di Immaginazione si aprono con lo spettacolo Moe maar op en dolend (Memorie distorte) del gruppo belga Abattoir Fermé collettivo di dissidenti, autori di fantascienza e voci underground che vede nella ricerca di nuove tematiche e nuove drammaturgie per il teatro il suo interesse focale. L’estetica immaginifico-allegorica che propongono è ottenuta da un lavoro di concettualizzazione di elementi del cinema, della subcultura, della cultura pop, dei film dell’orrore, delle sit-com, dei documentari, dell’arte visiva contemporanea, del giornalismo, della psichiatria e dei fumetti. Da rilevare il fatto che il gruppo è l’unico appuntamento esplicitamente teatrale della rassegna oltre alla stessa Socìetas Raffaello Sanzio, che a fine marzo presenterà BR.#04 Bruxelles, quarto Episodio della Tragedia Endogonidia.
Il 22 febbraio la Compagnia Greffe coordinata da Cindy Van Acker presenta corps 00:00, lavoro già ospite alla Biennale di Venezia 2005 che mostra un’intensa ricerca coreografica tesa a creare di un corpo parallelo e fantasmatico, così da “arrivare a un movimento indipendente che la mente non è in grado di ottenere”. Durante lo spettacolo la danzatrice si arrende alla forza di gravità e il suo corpo, collegato ad un dispositivo che trasmette impulsi elettromagnetici, viene battuto come una vena scossa dall’azione del muscolo cardiaco, si innalza e si deprime. La danza è protagonista anche della terza giornata della rassegna con il doppio appuntamento, il 3 e il 4 marzo, con il duo Jonathan Burrows e Matteo Fargion, coreografo il primo, musicista il secondo. L’essenza della loro danza è il gesto spoglio e l’intenzione; nelle loro pièce il corpo si fa vettore di un linguaggio che, dopo un’attenta opera di transcodifica, diviene gesto danzato trasposto in scena, in un rigoroso minimalismo. Ogni singolo dettaglio contribuisce a creare una partitura del tutto singolare di suoni e movimenti ritmici. I due spettacoli che proporranno sono Both Sitting Duet e The Quiet Dance.
Il 15 marzo il danzatore tedesco Raimund Hoghe presenterà lo spettacolo Another Dream, parte di una trilogia sul passato della Germania del secolo scorso, costituita dal solo Meinwärts, che si inspira alla vita e all’opera del tenore ebreo Joseph Schmidt, da Chambre séparée, che tratta dell’infanzia dell’autore nella Germania del miracolo economico, e, appunto, Another Dream che ruota attorno alla rinascita tedesca degli anni ’60. Nelle sue pièce minimaliste, il coreografo, unisce la severità rituale del teatro giapponese all’arte americana della performance, l’espressionismo tedesco all’interesse per le emozioni umane e la sociopolitica.
Il 20 Marzo è la volta di Boris Charmatz, personaggio radicale e iconoclasta della danza contemporanea francese, conosciuto per il suo approccio estremo alla disciplina e per il suo continuo interrogarsi sulla funzione del danzatore con progetti che mescolano diversi media (cinema, video, arti plastiche, letteratura). L’opera che presenta verte su una ricerca scenografica che limita le possibilità coreografiche del corpo del danzatore, con il performer che “doppia” le immagini del video, liberando la coreografia dal giogo della danza e integrando lo spettro dell’emozione cinematografica.
Le giornate primaverili della rassegna sono invece dedicate alla computer art e ai concerti. Il 24 marzo doppio appuntamento con Zachary Lieberman, che propone Drawn + The Manual Input Session, e il duo Semiconductor: Ruth Jarman & Joe Gerhardt con Sonic Inc + Worlds in flux. Le due installazioni/performance di Lieberman, basate su software creati originariamente per concerti, invitano gli spettatori a diventare performer, utilizzando il sistema per creare una pittura gestuale, dove le forme create sembrano animarsi, lasciando da sole gli schermi ed entrando nel mondo reale. Le sue installazioni, i lavori on-line e i concerti affrontano il tema della performance cinetica e gestuale, e pur utilizzando la tecnologia più avanzata per il disegno elettronico, non ne ostenta mai l’efficienza, ma la dissimula con distrazioni enigmatiche e leggere. Il duo composto da Jarman e Gerhardt ha invece una passione ossessiva per i panorama, l’architettura, la geologia, la geografia e le intelligenze artificiali. Originari di Brighton, nei loro lavori esplorano i processi di animazione digitali e le potenzialità dei computer di unire suono e immagine in una creazione artistica. Presentati come documentari immaginari, le loro opere rappresentano l’inizio di un mondo amorfo che rapidamente cresce e si evolve sotto l’impulso del suono, dando vita a strutture essenziali che poi imparano a muoversi autonomamente.
I due concerti conclusivi della rassegna sono affidati a Boom Bip live e alla band italiana Zu. Brian Hollon, aka Boom Bip, è un produttore, musicista e il leader della band di Cincinnati con la quale suonerà al concerto. Nel corso della sua lunga carriera ha sperimentato diversi generi musicali e negli ultimi anni ha sviluppato un interessante sound proprio, nato dalla combinazione di musica elettronica con gli schemi melodici del hip-hop e del rock, inventando di sana pianta un neo-folk, molto distante dalla tradizione. Gli Zu, unica altra presenza italiana oltre alla Raffaello Sanzio nella rassegna, presentano in esclusiva il loro nuovo album, un tunnel deiscente che apre, una dentro l’altra, le forme del reale e tesse una misteriosa analogia con l’universo degli scatti, delle molle, delle scie e dei fiotti che percorrono sia la vita organica che il congegno meccanico.
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jacopo lanteri
arteatro è una rubrica a cura di piersandra di matteo
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