Il primo appuntamento di Doing all’Ex Bologna Motori ha come protagonista il light designer francese Vincent Dupont con Jachères, un progetto nato in coproduzione con l’associazione Edna. Jachères è uno spettacolo dato da un progressivo slittamento di piani in cui la messa in scena si scopre finzione, il cinema scivola nel teatro, il teatro nella vita. Di questo meccanismo l’attore si scopre ingranaggio e, con stupore, riesce a trovare una via di evasione.
La temporalità dilatata che caratterizza la performance dei due attori sospende lo spettatore in un orizzonte percettivo animato dal continuo sconfinamento della visione.
Il pubblico si trova di fronte ad uno spazio scenico immerso nella semioscurità e per la prima metà vuoto; in profondità è presente una scatola teatrale, come scultura scenica e, al tempo stesso, meccanismo di rappresentazione.
In questa scatola/contenitore è allestito un set che riproduce un interno abitativo arredato in modo minimale, dove hanno luogo le azioni di due attori.
La visione di quest’ambiente, sia per l’oscurità che l’avvolge sia per l’esaltazione di valori di superficie dati della distanza, rimanda ad una fruizione di tipo cinematografico. Lo spettatore si trova di fronte come ad un’inquadratura fissa che imposta la visione su un luogo riconoscibile ma spersonalizzato ed astratto e le azioni che vi accadono all’interno sono frammentate, ossia prive di una qualsiasi traccia narrativa che permetta di decifrarne una trama.
All’interno della struttura, chiusa come ermeticamente, i movimenti degli attori, pur rasentando l’immobilità, modellano la staticità dello spazio. Le azioni, costruite su gesti e spostamenti come dilatati all’estremo, si offrono allo sguardo intervallate da momenti di buio totale, come per rinnovare una continua purificazione dell’occhio.
Le modulazioni delle luci unite alla postura degli attori plasmano visivamente l’ambiente creando immagini che, pur avendo luogo in una ricostruzione di un ambiente quotidiano e consueto, abbandonano immediatamente una percezione abituale per traslarsi verso un altrove indeterminato.
La componente sonora è altrettanto costituiva e determinante nella dinamica drammaturgia e registica.
Ogni spettatore ascolta in cuffia i suoni predisposti e sincronizzati a ciò che accade in scena: rumori, fruscii, bisbigli.
Nel momento in cui i due attori escono inaspettatamente dalla scatola scenica per invadere lo spazio teatrale –che sconfina con lo spazio dello spettatori- la sensazione è di forte tensione, come se si verificasse l’improvvisa lacerazione di una pellicola filmica.
Gli attori, con gli stessi movimenti lenti che caratterizzavano il loro incedere nella scatola, si avvicinano progressivamente al pubblico e intanto sul set, alle loro spalle, scorrono delle videoproiezioni che simulano la presenza di altri attori.
Il sonoro ricalca lo sconfinamento in atto: la recitazione in live si sovrappone, per poi sostituirsi definitivamente, a quella riprodotta. Alla fine gli attori sembrano ritornare verso la loro scatola, non sapremo se ci rientreranno, tutto ritorna avvolto dall’oscurità.
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