Un osservatorio vivace che intercetta creazioni e nomi della scena contemporanea, aprendo a visioni e pratiche di giovani autori nazionali e internazionali dai comuni o differenti codici artistici. È anche questo il festival torinese Interplay diretto da Natalia Casorati, giunto alla 18esima edizione, e con un programma articolato svoltosi alla Lavanderia a Vapore nei diversi spazi dell’ex fabbrica, inclusa la vasta aerea esterna, location ideale per alcune delle performance. Tra queste L’homme de la rue del Collectif A/R, e Solo juntos di Lucio Baglivo, due diverse creazioni accomunate da una idea di danza di strada, certamente non nuova ma sempre aperta a coinvolgimenti che inglobano pratiche e linguaggi in una dinamica motoria, narrativa e musicale.
Come quella dei francesi del Collectif A/R, che uniscono la danza alle percussioni nel loro peregrinare in spazi urbani coinvolgendo il pubblico. I quattro giovani performer, alternando posture bloccate a riattivazioni dinamiche, danno vita a un crocevia di ordinaria quotidianità di relazioni che da una discussione, uno sguardo, una provocazione, sfociano in piccoli conflitti e atti trasformati in scontro, poi in solidarietà, quindi in giocosa complicità. Attivando ampi gesti e passi di danza, presto dettati dal ritmo percussivo di due batterie suonate dagli stessi componenti del gruppo, la restante coppia di danzatori dopo un robusto duetto di ritrovata intesa, inviterà anche gli spettatori assiepati raccogliendoli uno ad uno, a condividere, in una passerella circolare, la gioia collettiva. Più ironici e acrobatici, più fisici e spericolati gli spagnoli Candelaria Antelo, Anuska Alonso, Maximiliano Sanford, coinvolti dal coreografo e danzatore argentino Lucio Baglivo.
INTERPLAY18 ph Andrea Macchia, CollectifAR
La danza molto fisica del giovanissimo trio, è un intreccio continuo di corpi a contatto, lanciati in spericolati equilibrismi e acrobazie che raccontano la loro relazione in una pista da ballo, una festa di strada al ritmo della cumbia. Anche qui gli umori mutano, le azioni degenerano, le parole volano, e la danza si fa più energica, veloce, ansimante, sempre imprevedibile in quella dimensione anche circense che regala stupore e divertimento per gli occhi. Inserito nel programma di Interplay è il Focus Young Mediterranean and Middle East Coreographer, progetto di mobilità artistica e dialogo interculturale condiviso da 14 strutture italiane, che permette lo scambio e la circuitazione in Italia di artisti dell’area mediterranea, alcuni dei quali provenienti da zone dove la danza è difficile da esprimere. È il caso dell’iraniano Sina Saberi, avvicinatosi alla danza grazie all’incontro con il coreografo Atefeh Tehrani, e fondatore del collettivo MaHa col quale si esibisce in performance private. Il suo breve Prelude è un assolo vibrante, quasi una danza di liberazione che vede il suo corpo inizialmente chiuso, rannicchiato nella schiena, animarsi con movimenti sempre più disarticolati, roteanti e sciolti, dentro un rettangolo luminoso che egli attraverserà strisciando, poi in posizione eretta, appropriandosi di quello spazio poi espanso.
INTERPLAY18 ph Andrea Macchia, Lali Ayguadé
Braccia e mani si librano nell’aria, ispirati alle ipnotiche danze persiane di antica tradizione, che cercano un legame con il presente nel tentativo di definire la propria identità, affermare una libertà di espressione. E si spegne nella semioscurità avanzando verso il pubblico mentre continua a vibrare le braccia. Il titolo Kokoro, della versatile coreografa spagnola Lali Ayguadé, classe 1980, nella lingua giapponese riunisce due parole: mente e cuore. Ricerca d’amore e razionalità compongono questo lavoro di teatro-danza imbastito di stilemi di contemporaneo, hip hop, urban dance, acrobazia circense, amalgamati con intelligenza creativa, per parlarci di trasformazione, di spiritualità, di domande, di paure. Sulla scena ingombra di tre panche da chiesa e di una poltrona di casa – oggetti che muteranno forma e posizione rappresentando un luogo comunitario e uno spazio intimo -, scorre l’esistenza di tre uomini e una donna che intrecciano relazioni di attrazione e repulsione. A caratterizzare la coreografia è la continua trasformazione dei danzatori, il loro mutare movimenti ed espressioni – tra mani “parlanti” al microfono, gesti di officianti, immobilismi e inseguimenti – divenendo altri personaggi, e manifestando stati d’animo variabili. E sono corpi che esprimono forza e fragilità, libertà e dipendenza, ora umanissimi, ora marionette manovrate, ora scimmie da ammaestrare. Il cerchio della vita si chiude sulla struggente canzone Motherless child con l’interprete femminile che lentamente, invecchiandosi, s’incurva.
Giuseppe Distefano