Categorie: arteatro

PERFORMANCE

di - 18 Gennaio 2019
Mi hanno sempre affascinato le cartoline, tanto che adesso se ne ricevo una ancora torno a quei momenti quando, da bambina, ferma davanti agli stand in ferro delle vecchie edicole al mare guardavo come venivano rappresentati i luoghi che nel tempo di una vacanza erano diventati per me familiari. Lo faccio ancora e, a volte, le compro, senza spedirle. Ho sviluppato, nel tempo, la passione per le cartoline antiche: non mostrano com’è quel posto, ma com’era: i turisti vestiti con abiti che non vanno più di moda, le cabine telefoniche che non ci sono più.
Come tutte le immagini le cartoline sono costruzioni di un’instante. Ad un certo punto ad animare quegli stand è arrivato un tipo diverso di cartolina, più spessa, con un’immagine tridimensionale, che se la si muove sembra fuoriuscire dal rettangolo. L’ologramma entra nel paesaggio e tutto è in grado di innestarvisi, qualsiasi immagine reale o inventata che sia.
Entrare nel Museo di Palazzo Pretorio a Prato, lo scorso dicembre, mi ha fatto sentire ancora una volta davanti a una distesa di cartoline oleografiche, immersa in un paesaggio abitato da apparizioni. Queste apparizioni sono i quadri scaturiti dalle visioni dell’artista Luigi Presicce coadiuvato dai performer che hanno preso parte all’Accademia dell’Immobilità, un progetto didattico che l’artista porta avanti da diversi anni. È un percorso che unisce performance, pittura, teatro e arte plastica, un training, che allena non solo il corpo del performer, ma anche lo sguardo, la relazione e il modo di concepire una messa in scena. Per varie settimane Luigi Presicce ha lavorato con i performer dentro le sale del museo: conoscere le opere, osservarle nella loro profonda simbologia per attivare un dialogo che riverbera nel presente, tutto ciò attraverso il corpo, attraverso la ricerca di uno stato di immobilità, che è tutt’altro che stare fermi.
Quattordici tableaux vivant dalle raffinate analogie con i quadri presenti nel museo (opere che vanno dal Trecento all’arte contemporanea). Tutt’altro che didascalico il lavoro che l’artista e i performer hanno ideato, si tratta di una vera e propria immersione nella storia dell’arte, alla maniera che Agamben definisce il contemporaneo, “colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con altri tempi, di leggerne in modo inedito la storia, di “citarla” secondo una necessità che non proviene in alcun modo dal suo arbitrio”.
Luigi Presicce, Quattordici tableaux vivant per un’idea di predella, foto di Ivan D’Ali, courtesy L’Artista e Museo di Palazzo Pretorio, Prato, 2018.
Siamo di fronte a un viaggio nella simbologia che presenta più livelli: Quattordici tableaux vivant per un’idea di predella, recita il titolo della performance. Se la predella è una fascia dipinta divisa in più riquadri che di solito faceva da corredo alle pale d’altare dipinte su legno, i quadri proposti sono i tasselli mancanti, quel salto di significato, un vuoto colmato, abitato, ma che non propone soluzioni, che dal presente ci fa rituffare nel passato e viceversa, un viaggio nel tempo non lineare, un giro nella Delorean di Ritorno al Futuro, nel quale un Cristo di un affresco del Trecento è messo di fronte a colui che con una pietra affila le lame mentre ascolta Satisfaction di Benny Benassi.
Sono ologrammi questi quattordici tableaux, nel senso che Viola Papetti usa per parlare del lavoro di Giorgio Manganelli: modello del virtuale o del possibile, della ripetizione come trasformazione. Ologrammi che si stagliano addosso allo spettatore come delle scritture del possibile, come i paesaggi di quelle cartoline, delle predelle che sarebbero potute essere e sono state per il tempo della performance e che saranno nella testa degli spettatori che vi hanno assistito.
Quattordici stazioni come quelle della via crucis, che raccontano delle storie: un angelo, dalla cui bocca fuoriesce un cartello che recita Ave gratia plena dominus tecum, dialoga con tutte le natività della sala e porta in mano un cellulare dal quale suona Like a Virgin di Madonna; una coppia legata e bendata che mostra, di nuovo, attraverso un telefono cellulare, fotogrammi di Antichryst di Lars Von Trier e de Il Vangelo secondo Matteo di Pierpaolo Pasolini e che si ispira a tavole di Filippino Lippi e Luca e Francesco Signorelli o, ancora, una donna che come una rovina abita una sala ricca di dipinti floreali, in dialogo con una tela di Andrea Casali. Se a prima vista questa unione di pittura antica, tecnologia e musica e cinema contemporaneo sembra essere una pratica leggibile attraverso la lente del post moderno, è nella modernità che affonda le sue radici, in quell’esplorare i confini e quello svelare i meccanismi, pur mantenendo un alto livello di poesia.
Luigi Presicce, Quattordici tableaux vivant per un’idea di predella, foto di Ivan D’Ali, courtesy L’Artista e Museo di Palazzo Pretorio, Prato, 2018.
Nella performance vista a Prato un forte meccanismo giocoso, nel senso etimologico del termine, viene messo in atto, ciò attiva nello spettatore una voglia di scoprire quale quadro viene dopo, si torna, anche qui, a una dimensione infantile, che vuole seguire le scene, vuole tornare a guardarle, vuole capire quali sono le connessioni. Il gioco ci viene anche mostrato, nel quadro che vede protagonista Presicce stesso, che, armato di scudiscio, è intento con altre due figure in una partita a dadi sulle note di alcune hits di Enzo Napoli. La meraviglia sta nei corpi che non ci si stanca mai di osservare perché, in questa immobilità, sono intenti nella ricerca dell’esattezza e del momento perfetto, come nel gesto atletico, ma sta anche nella cura e nell’attenzione al dettaglio, nella bellezza dei costumi realizzati per l’occasione dall’artista Canedicoda, che ricordano i panneggi delle ninfe di cui parla Didi-Huberman.
Walter Benjamin per evidenziare i caratteri dell’allegoria barocca parla del cogliere la non-libertà, l’incompiutezza e la fragilità della natura sensibile, del bello naturale, proprio questo si ritrova nella performance, e più in generale nel lavoro di Luigi Presicce. Una tensione al bello, una concezione di arte dalla forte potenza teatrale che travalica i generi contenendoli tutti.
La forza di questi Quattordici tableaux, come la forza delle visioni di Presicce, sta nel contenere un mistero, tutto Barocco, e, poco importa la soluzione, perché è più importante la domanda che lascia. “La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie”, ha detto Hofmannstal.
Paola Granato

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