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TEATRO

di - 15 Novembre 2017
Compie dieci anni CollettivO CineticO, formazione ferrarese diretta dalla coreografa Francesca Pennini in collaborazione con il dramaturgo Angelo Pedroni. Difficile dare una definizione del lavoro portato avanti da questo duo che, attraverso formati molto diversi, va a indagare nelle zone di confine tra la danza, le arti visive e il teatro.
Parliamo di gioco, incontri e medicina cinese con Pennini in occasione della presentazione di Benvenuto umano, ultimo lavoro della compagnia, a Romaeuropa Festival
CollettivO CineticO compie dieci anni: guardi indietro e cosa vedi? Cosa è cambiato?
«Sono stati dieci anni molto veloci, mi rendo conto solo ora, che questo traguardo è arrivato, che è passato tutto questo tempo. Vedo, sostanzialmente, quello che all’inizio era solo un’ipotesi, una scommessa che, senza forzature, si è propagata ed è andata avanti. Mi rendo conto che abbiamo preso contemporaneamente strade differenti, tra generi e contenuti, ma che si incrociavano in interrogativi comuni. Non sento, in realtà, un grandissimo cambiamento, sento più questo senso di moltiplicazione delle pratiche e delle persone. Un proliferare più che un modificarsi».
Il vostro sito ha una costruzione molto interessante e strutturata, tra le cose che più mi hanno colpito è la sezione delle biografie dove possiamo trovare tutti coloro che hanno lavorato con voi. Che importanza hanno questi rapporti?
«Ne mancano tantissimi in realtà! Sono fondamentali, sono sempre stati dei veri e propri incontri sorgente di stimoli, anche per questo è importantissimo per me chi è con me nei progetti. Al di là delle sue competenze, della sua formazione e del ruolo che andrà a coprire è la persona, con tutte le sue caratteristiche, che modifica drasticamente il percorso di ogni creazione e diventa a tutti gli effetti responsabile del progetto…un pezzettino a testa!».
CollettivO CineticO, Benvenuto Umano
Dalle performance che ho avuto modo di vedere ma anche dalla costruzione del vostro sito sembra che l’elemento ludico, il gioco, sia fondamentale nel vostro lavoro. Che cosa rappresenta? Che cosa mette in campo questo elemento?
«Per me è sempre stato presente, è un amore che ho fin da bambina e penso che nella creazione unisca due principi che trovo molto importanti: da un lato il divertimento, nel senso più alto del termine. Un tipo di coinvolgimento sia dei performer che degli spettatori, di tutti i giocatori in campo – che possono essere fuori o dentro la scena o contemporaneamente da entrambe le parti – molto diretto, molto tangibile, molto vero. Dall’altro lato, a questa apertura aleatoria che si da in alcuni casi, si unisce anche un forte rigore. Tutti i giochi sono fatti da un regolamento, anche i giochi dei bambini si basano su dei presupposti di credibilità che devono essere solidi. È la frizione, il matrimonio tra questi due aspetti, che lo rende proprio un sistema di pensiero della scena e di cosa significa lo stare in scena: divertimento e rigore».
Qual è il vostro rapporto con lo spettatore?
«Mi interessa che sia sempre coinvolto, ma forse coinvolto non è la parola giusta perché la modalità di coinvolgimento non è sempre la stessa. Dovrebbe essere sempre un elemento considerato nel gioco, sia nel formato dello spettacolo che nel pensiero della scena, considerato nella sua realtà non di spettatore qualunque, ma in termini di compresenza di sguardo e di corpo…questa suona forse come una cosa molto generale, che esiste per tutti coloro che operano in questo campo. Quello che desidero è che questo essere considerato rimbalzi addosso allo spettatore, renda evidente la posizione che prende – che sia contemplativa o che sia attiva – che lo spettacolo e la performance diventi uno specchio o una lente d’ingrandimento su dov’è, com’è, cosa sta succedendo a chi guarda o cosa lo spettatore sta scegliendo e facendo succedere. Uno specchio su chi é».
CollettivO CineticO, Benvenuto Umano
L’idea del vostro ultimo lavoro Benvenuto Umano parte dagli affreschi del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara. Che rapporto hai con la tua città?
«Quello è stato l’innesco, non è un lavoro sul Salone dei Mesi ma ha alimentato un interesse e mi piaceva anche l’idea che alla fine di questi dieci anni si tornasse un po’ alla base. Il primo lavoro di CollettivO CineticO nasceva dalla vicenda di Ugo e Parisina degli Estensi, per cui si torna lì anche a chiudere un ciclo. Anche in altri lavori ci sono riferimenti ad artisti ferraresi, penso ad esempio alle musiche di Frescobaldi dei 10 miniballetti. Per quanto Ferrara sia una città piccola è sempre stata molto stimolante culturalmente, a partire dalla mia esperienza da spettatrice del Teatro Comunale o dell’Officina Ferrarese che anche da un punto di vista visivo era molto fervida e con una discreta dose di follia. Questo substrato mi ha nutrita attivamente ma credo anche a livello subliminale e, anche se sono tornata nella mia città dopo aver studiato fuori per un lungo periodo, ho una bella affezione per Ferrara. Poi, come ogni rapporto forte, è anche un po’ di odio. Vorrei avesse un’anima più reattiva e più positiva…ma forse la sua natura di palude padana non é ancora stata bonificata al 100 per cento».
Qual è stato il percorso che hai fatto nel costruire Benvenuto umano?
«Da un lato è stato un percorso di ricerca fisico e metodologico, in particolare legato alla medicina tradizionale cinese. Questa non è stata la base dello spettacolo ma è stata una specie di biforcazione processuale che ha alimentato la ricerca di informazioni sui corpi. Dall’altro lato tutti questi elementi di complessità e questa differenza tra il mondo occidentale e il mondo orientale di visione dell’umano in relazione al cosmo, del corpo in relazione allo spirito in realtà hanno dei punti di tangenza molto forti, è stato un po’ tracciare delle linee e non coincidere mai con nessuna delle due visioni. Alla fine quello che è emerso in modo più evidente è la centralità e la sfaccettatura del corpo umano preso in questione da questi punti di vista».
Una parola per descrivere il vostro lavoro:
«Stratificato».
Un libro che ti ha segnato:
«”Utopie Eterotopie” di Michel Foucault, che è stato il testo che ha innescato il progetto C/o (uno dei denominatori fondamentali di di questi dieci anni cinetici), libro a cui torno con cadenza regolare e che ogni volta mi pare prendere nuovo senso».
Se potessi scegliere un personaggio (della storia, dell’arte, della letteratura…) da invitare a cena, chi inviteresti?
«Darò una risposta da danzatrice in questo caso: William Forsythe».
Paola Granato

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