Umile officiante della parola, l’attore Marcello Prayer è scultore del verso, pittore del timbro, forgiatore sensibile di suoni fonetici, rivelatore di sonorità attinte dall’universo interiore, voce traghettante in luoghi “altri”, in epoche “altre”, in anime “altre”. Nell’appassionato In flagrante delicto. Gesualdo da Venosa, principe dei musici (in scena al Napoli Teatro Festival Italia), affascinante opera sulla vita di Carlo Gesualdo da Venosa, l’attore pugliese dispensa autentiche emozioni dello spirito. Rare e potenti. Nel suo raccontare disponendo con incisiva espressività il corpo narrante sulle nude assi del palcoscenico – dove basta solo una sedia a terra, poi alzata e occupata quale “presenza” di un’assenza –, evoca mondi e personaggi lontani eppure così vicini, aprendoci alla visione, tangibile e invisibile al contempo, di ciò che sentiamo proferire.
Un “dire” che fonde gesti distillati e fisicità sapientemente vibrati per accordare il corpo nel tempo e nello spazio. Sguardi, braccia e mani in perenne tensione disegnano traiettorie temporali scrutando il buio e la penombra, la luce e il suo riverbero sulle pareti nude. Prayer va dentro il fantasma della voce del principe Gesualdo, riportandolo vivo ai nostri occhi. In questo lavoro di moderna ricostruzione e ricerca fra storia, mito e leggenda, la limpida scrittura evocativa di Francesco Nicolini intorno alla figura del principe assassino per gelosia, indaga la verità storica per riproporla poeticamente in una sorta di scorrimento di fotogrammi visionari, fonetici e musicali, che ci immergono nel pensiero e nel sentimento del compositore grazie alla recitazione di Prayer, al sound-design di Alessandro Grego, alla regia sapiente di Roberto Aldorasi. Un concorso di menti creative eccellenti, capaci di farsi corpo unico per condurci nell’animo tormentato del grande madrigalista, dentro la sua appassionante biografia dalla fosca tragedia coniugale, che portò lo smisurato disordine delle sue passioni nell’insaziata febbre cromatica della sua musica. Vita successivamente proseguita con propositi espiatori – per l’ossessione dei propri peccati e la ricerca del perdono divino – in un turbato isolamento nel feudo irpino di Venosa. Questi furono anni punteggiati da malesseri psicofisici e ossessioni religiose, tra malattie e lutti, ultimo la morte del figlio ventenne Emanuele per una caduta da cavallo, alla cui notizia Carlo si lasciò lentamente morire dopo due mesi. Prayer, nello sfumare di una sovrapposizione di tonalità, e con lievi spostamenti, presta voce e corpo a più figure incarnando, oltre all’io narrante, ora l’uno ora l’altro personaggio. In questa testimonianza di osservatori determinanti nella vita del principe, trovano posto la moglie Maria d’Avalos, lo zio Alfonso, l’amante Aurelia d’Errico, la guardarobiera Silvia Albano testimone dell’omicidio della sua padrona donna Maria, mentre la vox populi napoletana affolla l’etere proveniente da fonti diverse della sala con un effetto di avvolgente sonorità. Nella scarnificazione e assoluta semplicità della messinscena unico elemento che rompe il nero drammaturgico è il bianco collare ortopedico sul gozzo dell’attore. Rimanda a quello di pizzo dell’epoca, segno costante dell’incidente che lo ha accompagnato per tutta la vita. Lo toglierà nel finale quale liberazione interiore e fisica di un’esistenza in cui raffinatezza – della musica – e ferocia – delle passioni –, si sono nutrite e distrutte vicendevolmente.
Giuseppe Distefano
Ideazione e regia Roberto Aldorasi
testi Francesco Niccolini
luci Danilo Facco
sound engineering Carmine Minichiello
con Marcello Prayer
musiche Alessandro Grego
produzione Compagnia della luna.
Al Napoli Teatro Festival Italia, Sala Assoli