Ă una nuova epifania del sentimento tragico, un nuovo atto segnico di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, un loro ulteriore affondo stratificato e poetico, di pulsante rifrazione fisica e visiva, che ha trovato forma e concetto nella condizione biografica della performer Monica Barone, un corpo danzante e sonoro di intima restituzione; e tratto ispirazione dalla materia estetica di unâopera di Beyus â âTitus-Iphigenieâ -, dalla musica di Gluck â âIphigĂ©nie en Taurideâ -, e dal dramma di Goethe âIphigenie auf Taurisâ -: una quadruplice tessitura per questa âIphigenia in Tauride. Io sono mutaâ di Lenz Fondazione. Muta perchĂ© la protagonista porta il segno di una trasformazione facciale e alla gola comunicando con la respirazione di una cannula. La userĂ visibilmente amplificandone il fiato vicino ad un microfono nella potente sequenza in cui davanti ad una teca dâacqua immergerĂ le mani, le laverĂ , spargerĂ le gocce in un rituale di purificazione. Siamo nel tema del sacrificio, parola che significa letteralmente ârendere sacroâ. E lo Ăš, nella tragedia di Euripide, il gesto di Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone ritrovandosi a morire come una schiava, trascinata di fronte allâesercito greco che aspetta di poter salpare. Ma la fanciulla che tutti credevano sacrificata agli dei viene ritrovata dopo la guerra di Troia nella barbara Tauride nei panni di sanguinaria custode del simulacro di Artemide, a ridare speranza a uno sfiduciato Oreste, liberato dalla maledizione delle Erinni per il parricidio proprio grazie a questa salvifica impresa.
Lenz Fondazione, Iphigenia in Tauride â foto di Maria Federica Maestri
Con unâaccensione di sguardo vigorosa, Maestri e Pititto tracciano in una sola interprete una geografia di passioni assolute, non determinabili in un tempo storico, restituendo a una danza essenziale di gesti la sua dimensione rituale. Nel pulsante e spoglio spazio geometrico, che Ăš area sacrificale e rifugio, si stagliano oggetti e simboli che riconducono alla vicenda dellâeroina modernissima, effigie solitaria e grandiosa di un mondo di violente sopraffazioni maschili: le corna di un cervo fissate su due stativi, due ruderi di colonne classiche sospese, e sul proscenio la teca trasparente del lavacro che funge da altare. Sullo sfondo domina un grande schermo â dietro e davanti al quale Ifigenia si aggirerĂ danzando lâapprodo e la fuga â che riproduce in video i luoghi dellâesilio: prima quel Mar Nero che bagna le rive di Tauride, lâattuale Crimea, calmo e tempestoso; poi il bosco sacro avvolto nella nebbia, di tronchi e alberi. Ifigenia, giunta con una valigia in mano, aperta per mutare dâabito, raggomitolata a terra avvolta in un grigio mantello, smuove le sue articolazioni sulla musica e il canto dellâopera di Gluck che lei stessa avvia â piĂč volte dopo interruzioni e stacchi di silenzio â disponendo un disco di vinile su un vecchio giradischi. E sono le parole dellâopera a dare consistenza ai suoi movimenti smarriti, paurosi, tremanti di presagio o di gioia, sognanti, imploranti gli dei, evocanti la presenza del fratello Oreste, manovrando lâasta meccanica con le corna appese, calando a terra i ruderi del tempio e disponendosi accanto ad essi macchiati appena di sangue, fino a diventare guerriera conquistando la sua libertĂ .
Lenz Fondazione, Orestea #1 Nidi â foto di Maria Federica Maestri
In otto quadri tragici si svolge il secondo pezzo dellâunica serata, âOrestea #1 Nidiâ, prima parte di un progetto triennale sullâOrestea, che vede lâinizio della saga degli Atridi raggrumarsi in quattro personaggi â Clitennestra, Agamennone, Cassandra, e Ifigenia anche Coro â per tre interpreti femminili che incarnano assassini e vittime, orrori, passioni e paure: sono le presenze storiche di Lenz, Sandra Soncini, Carlotta Spaggiari, e lâattrice sensibile Valentina Barbarini sorprendente Cassandra. In una dimensione piĂč narrativa, condensata nei testi poetici di Francesco Pititto, la tragedia barbarica sâinnesta «sullâestetica della patologia psichica dei personaggi». Siamo in un luogo di detenzione e di coercizione: una stanza di alte pareti di cemento con due porte laterali e un varco centrale con, allâinterno, un letto che funge da trono sotto una di capanna di rami â unâinstallazione ispirata allâopera di Mario Merz â che ne fa anche un nido dove Clitennestra e Cassandra urlanti coveranno le loro uova, lâuna partorendo lâaltra. Nellâaprirsi e chiudersi di porte, nel comparire e scomparire avvolti in scure tuniche o in bianchi sudari, rasenti i muri o al centro della scena, i personaggi, nellâalternarsi del loro ruolo, macchiano, ossessivamente, di segni neri le pareti e a terra, poi sul volto, come a voler lasciare tracce di presenze, di futuri lutti, di parole sottaciute, di profezie che altri decifreranno; portano secchi prima dâacqua per lavare ciĂČ che Ăš sordido, poi pieni di fango da dove estrarre numerosi giocattoli, segni, per Ifigenia, di unâinfanzia perduta; compiranno violenze e stupri â impressionante la sequenza in cui la Soncini impersonando Agamennone simula un atto sessuale su Clitennestra mostrando un fallo tenuto fra le sue gambe â.
Lenz Fondazione, Orestea #1 Nidi â foto di Maria Federica Maestri
Sempre sul continuo e grave tessuto sonoro del musicista e compositore elettronico tedesco Lillevan, bestialitĂ e umanitĂ si scontreranno, pietĂ e giogo divergeranno, profezie e maledizioni si annienteranno. Cassandra diventerĂ prima uccello, poi lupo camminando a quattro zampe; Clitennestra invece cigno, simulando la morte dellâaltra. Sulle note ciaicovskiane della âMorte del cignoâ, lei, corpo tellurico, squassato, impazzito, danzerĂ forsennatamente in una perturbante sequenza coreografica a cosĂŹ alto tasso fisico ed emotivo da rimanere impressa nella nostra memoria di spettatore.
Giuseppe Distefano