Categorie: arteatro

TEATRO

di - 15 Maggio 2018
Cicerone definiva la cultura come nazione o patria, “la società che consiste nell’identità di stirpe, di nascita, di lingua, che è quella che più saldamente unisce gli uomini tra loro”.
Nell’età della globalizzazione i confini non sono più così sicuri, fissi e delimitati: la cultura di ciascuno di noi si crea grazie al confronto e al riconoscimento dell’altro, come amico o come nemico, e alla contaminazione delle culture tradizionali. La globalizzazione ha portato allo sfondamento dei confini spaziali politici ed economici, lasciando al tempo il compito di continuamente rimodulare il concetto di identità, non più definita ma labile e mutevole.
Sul palco del Teatro dell’Arte di Milano, allestito solo con un grande green screen, una telecamera e uno sgabello girevole, di quelli usati dai pittori per i loro modelli, salgono uno alla volta sei attori della Great Jones Repertory Company (Maura Nguyen Donohue, Richard Ebihara, John Gutierrez, Valois Mickens, Eugene the Poogene, Zishan Ugurlu), un gruppo di performer interetnico che lavora al Café La MaMa, lo storico teatro off fondato da Ellen Stewart nell’East Village di New York. Inizia così l’ambiguo gioco del teatro: chiamati a rispondere ad alcune semplici domande di presentazione, non si sa chi stia rispondendo e se parli davvero di sé, in un continuo slittamento da una identità all’altra, di una biografia nell’altra.
Motus, Panorama
Panorama, il nuovo spettacolo dei Motus, compagnia fondata a Rimini nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, presentato a gennaio a New York e per la prima volta in Italia nella grande sala della Triennale, partendo dalle vicende biografiche degli attori della compagnia newyorkese e con la collaborazione drammaturgica di Erik Ehn, prosegue la riflessione sull’Io che era al centro del precedente MDLSX (2015), o meglio della rivendicazione al “diritto alla non appartenenza, alla libertà di transitare da un genere all’altro, da una forma di vita all’altra – senza barriere – abbattendo ogni tipo di pregiudizio”.
Le categorie gerarchiche imposte dalla società si frantumano in un continuo rimando da un personaggio all’altro, facendo perdere l’orientamento forse a causa di un linguaggio non ancora consolidato, ancora in fase di sperimentazione. Ma Panorama vuole anche questo: oltre alla proiezione in diretta del personaggio in scena sulla tela, due schermi laterali mostrano altre inquadrature, obbligando lo spettatore a decidere cosa guardare, quale punto di vista adottare e quale panorama ammirare. Il nomadismo è una proprietà intrinseca degli esseri umani, che passano da un’età all’altra, da un sesso all’altro, da un’etnia all’altra, da una maschera all’altra. Ma quando osserviamo il mondo, abbiamo un punto di vista, necessariamente parziale. Dobbiamo prendere posizione, scegliere cosa guardare, costruire una relazione con l’oggetto della nostra attenzione. Con questi continui cambi di prospettiva Panorama offre una visione globale a partire da alcuni spaccati di vita, e le somme si traggono da sole: la politica attuale, statunitense nello specifico ma quella italiana non è da meno, non si sta rivelando capace di attualizzare questa mutazione. Non è la normalizzazione del flusso che determina la sicurezza, e nemmeno la felicità degli individui.
Giulia Alonzo

Dopo gli studi al Politecnico di Milano e all'Accademia di Belle Arti di Brera, collabora con diverse testate di teatro e arte. Studiosa di arti visive, design e spettacolo dal vivo, è particolarmente interessata alla ricezione e alla simbologia delle opere d'arte nella società contemporanea. Attualmente impegnata nello sviluppo del portale trovafestival.com, la cultura in movimento.

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