Fotofinish perché l’ultima immagine è assolutamente epica, grottesca e geniale, un gesamtkunstwerk. Un assioma del teatro di RezzaMastrella. Si merita questi paroloni il sempiterno Antonio, che con le parole ci fa a pezzi e poi ce li getta in faccia, nudo o meno, in posa per un calendario o per la carta d’identità, assistito dal fido e sadico Armando che diventa suora, cane o dittatore a seconda del momento. Gli spettatori deportati sul palco per un finale pirotecnico. Sedetevi in prima fila, mi raccomando. E lasciatevi trasportare.
Perché vi fidate di lui? Perché vi fidate della finzione?
Questa non è tragedia, è teatro dell’assurdo. E quest’anno hanno vinto il Leone d’oro alla carriera per il Teatro alla Biennale di Venezia. Era ora.
Perché quelle di Rezza sono questioni fondamentali ma lui ci prende – letteralmente – per i fondelli. Palpeggia, azzanna. E giù a ridere. Nessuno ci fa ridere così, nulla è quello che sembra e lui insiste e i teli stesi sul palco diventano sfondi per fotografie, bandiere, case, autobus, ospedali, suore o macchine per fare la TAC. E noi fotografi, avventori, popolo bue, malati, guardoni e credenti. A cosa? Si torna alle questioni fondamentali.
Fotofinish, foto Giulio Mazzi
E ci si ride sopra. Non c’è scampo.
Ecco, le foto non c’entrano niente con Dio, la fatica di esistere tutti i giorni, i no che dovremmo dire allo specchio, le chiappe al vento, i gay, le donne, il cittadino Gesù che ci perseguita da terra o dalla croce e la TAC che sghignazza perché già conosce le sorti del malato. Lui è un uomo che si diverte così tutte le sere a 52 anni. Pensateci bene.
Il titolo è un pretesto. Rezza passa dall’ufficio alla palestra, dallo psichiatra all’estetista, dall’ortopedico a casa, facendoci sbellicare tra le nostre acrobazie quotidiane, tra depressione e ansia da prestazione.
Il resto andate a vederlo, non ve lo racconto più, è a Milano, all’Elfo, fino a venerdì, poi in giro per l’Italia. Voi seguiteli sempre e ovunque.
Marcella Vanzo