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Signore e signori, devo cercare e devo trovare le parole per raccontarvi uno degli spettacoli più impressionanti che abbia mai visto. Si tratta soltanto di un documentario, non dell’originale, ovvero la proiezione integrale del film di Orphée et Eurydice, opera diretta da Romeo Castellucci e prodotta da La Monnaie di Bruxelles nel 2014.
Da quando propongono a Castellucci la regia dell’Orfeo ed Euridice, lui non pensa che a una donna in coma, ma non si decide, l’idea lo sconcerta, lo sgomenta.
La coscienza.
Insieme ai suoi collaboratori, a neurologi e specialisti, Castellucci si tuffa nel coma.
Nel silenzio assoluto del centro di riabilitazione Inkendaal in Belgio, per riemergere insieme ad Els, una donna di trent’anni affetta da sindrome Locked-in.
Stesa nel letto, perfettamente immobile, viva come morta, i sensi intatti, la memoria anche, la nostra Euridice dorme e si sveglia e se la tocchi sente.
Comunica con gli occhi. Un battito per il si, due per il no, ha raccontato la sua storia struggente a Castellucci che a sua volta la proietta di frase in frase sullo schermo, dietro a Orfeo – uno splendido contralto – che canta del suo terribile viaggio.
Non sappiamo più chi è chi, se i protagonisti sono Orfeo ed Euridice o Els e Daniel, il marito, incontratisi a nove anni ai giardini, per sposarsi a diciotto e avere poi due bambini, Adriano e Alessio. Una famiglia perfetta. Els adora i bambini e le storie d’amore. Els è a casa a giocare coi bambini e qualcosa non va, avverte il marito, l’ultima parola che lui sente è svenire.
Romeo Castellucci, Orphée et Eurydice
L’ambulanza, Adriano tartassato di domande, Orfeo è disperato, ricorda la sua amante, la sua fine, la rivuole, la rivuole viva e vegeta. Els è all’ospedale, quieta, fissa e inerte, per sempre. Viva. I medici si sfiniscono per scoprire dove stia la coscienza, la monitorano mattina e sera, tubi, schermi, pulsazioni. Dieci anni fa, ma forse anche cinque, questa sarebbe stata una parola fuori legge: coscienza. Ora la cercano disperatamente.
Sul palco Amore raggiunge Orfeo e lo rassicura, le tue lacrime hanno commosso gli dei, potrai raggiungere Euridice nell’Ade e se non la guardi e non le spieghi perché, potrai riportarla nel mondo dei vivi. E ogni sera Romeo Castellucci chiede a Els se vuole andare in scena e lei risponde di sì. La sua storia proiettata dietro a Orfeo invade la scena, poche lettere sullo sfondo nero fino a quando Daniel parte per il viaggio che ogni sera compie, settanta chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, per raggiungere la sua Euridice.
Orfeo non esita, parte immediatamente. Ogni sera una steadycam live segue Daniel fino a Els e proietta il suo viaggio sfocato sullo schermo, dietro alla cantante, sul palco scarno che non ospita altro che il contralto, un microfono, una sedia e il registratore che trasmette in tempo reale l’opera – il suono, mammifero l’ha definito Castellucci, di centoventi elementi e il canto – a Els.
Romeo Castellucci, Orphée et Eurydice, foto di Bernd Uhlig
Il canto che risveglia Euridice, un soprano appare come in sogno dietro allo schermo.
La telecamera è dentro l’ospedale, ai corridoi sfocati e raggiunge la stanza di Els, la sua mano bianca, immobile, disgustosa, la mano di una morta. Castellucci racconta di aver provato una grande vergogna al cospetto di Els.
Il soprano piange, Euridice si tormenta, perché il suo prediletto non le rivolge uno sguardo. Barbaro crudele, come puoi risvegliarmi per non degnarmi di nessuna attenzione? Sul polso di Els, due braccialetti col nome dei suoi figli.
Uno solo dei tuoi sguardi, lo implora Euridice.
Orfeo resiste, Orfeo vacilla, dei aiutatemi, come potete infliggermi tale tormento?
Sul muro vediamo i disegni dei bambini, le foto di famiglia.
Che tormento insopportabile cantano i due amanti. Gli spasmi muscolari di Els vengono ridotti con continue somministrazioni di calmanti. Orfeo chiede aiuto, sta perdendo la ragione, Orfeo si volta. Gli occhi di Els vengono messi a fuoco, si muovono solo in verticale, le pupille nuotano nello spazio e ogni tanto ci fissano, ogni tanto scompaiono dietro alle palpebre. Due grandi cuffie sulle orecchie, la musica che pulsa dentro.
Romeo Castellucci, Orphée et Eurydice
Il palco scompare al buio e ricompare alla luce. Orfeo non può crederci, che ha fatto. Negli inferi vuol tornare, dalla sua amata, per sempre. Che la morte lo accolga.
La nuda vita. Il senso di riconciliazione rispetto a una condizione estrema. La musica come una chiave di comunicazione. Un lavoro che lo ha toccato. Castellucci ce lo descrive così e non lo ripeterà altrove.
Ma l’opera prevede un happy ending. Amore torna sul palco e fa incontrare i due amanti nel mondo dei vivi, Euridice appare nuda e bianca come una Venere del Botticelli e Orfeo la raggiunge. L’opera si conclude e sullo schermo appaiono le mani amorevoli di Daniel che tolgono le cuffie alla sua amata e tre volte le carezzano i capelli.
Marcella Vanzo