Categorie: arteatro

WHAT’S QUEER?

di - 6 Novembre 2017
Sono stati dodici giorni rutilanti, ricchi di eventi, feste, mostre, workshop, film e soprattutto di spettacoli di danza, che ha ricevuto quest’anno da parte del direttore Daniele del Pozzo un’attenzione particolare. Tre sono stati gli appuntamenti eccellenti: lo spettacolo Mercurial George dell’afro-canadese Dana Michel, vincitrice nel 2017 del Leone d’Argento per l’innovazione alla Biennale Danza di Venezia. Tenuto all’Atelier Sì, abbiamo ritrovato per la seconda volta a Bologna quest’anno la coreografa che fa dell’orizzontalità, dello strisciare e strusciare, il perno del suo linguaggio. Il gesto veloce, sconnesso, disarticolato e la voce gorgogliante, da rapper, gutturale, creano un dialogo ironico e incalzante con oggetti tanto quotidiani quanto misteriosi in un insieme che si sviluppa coerentemente fino alla fine.
Il secondo spettacolo al Teatro Arena del Sole:  il Balletto di Roma ha portato in scena Bolero/Trip Tic,  un collage di tre coreografie. La prima, sulla musica dell’Après-midi d’un faune, è interpretata come gioco di sguardi ed esercizi gestuali da Giorgia Nardin, che ha creato anche la performance partecipativa di sapore intimistico e negromantico Minor Place al Sì. La seconda, la Suite Bergamasque è stata invece messa in scena con le coreografie di Chiara Frigo, mentre l’applauditissimo Bolero è frutto dell’energica invenzione di Francesca Pennini.
Les ballets trockadero, Zoran Jelenic
Il terzo spettacolo al Teatro Arena del Sole è del collettivo praghese DOT504, fondato nel 2006 da Lenka Ottová. Si tratta di un’entità elastica che vede la collaborazione di diversi coreografi che chiamano danzatori a progetto. Nel nostro caso il duo coreografico Josef Frucek e Linda Kapitanea crea You are not the one who shall live long, in cui quattro interpreti inscenano un conflitto ancestrale che porta alla morte e alla rinascita di una divinità femminile, seguendo le fluide movenze che si innestano nelle arti marziali (in questo caso il Jui-jitzu brasiliano) creando scariche di energia pura in atmosfere oscure, fumose, arricchite da voci cavernose. Ricchissima anche la sezione cinematografica con film di rigorosa e raffinata fattura come  A quiet passion di Terence Davies (2016), che racconta la storia della poetessa Emily Dickinson, che visse lontano dai riflettori e nel seno della sua famiglia borghese e colta, ma rigidamente puritana come era uso nella società ottocentesca della campagna statunitense dove nacque. Il film, impreziosito dalle frasi delle poesie di Emily, si dipana lento con un andamento teatrale che in alcune parti indugia eccessivamente nei particolari. A chiudere il festival invece Quest di Jonathan Olshefski (2017), uno sguardo documentario incredibilmente lungo, dato che il regista ha seguito per dieci anni la famiglia afroamericana del produttore di musica hip hop Christopher “Quest” Rainey in un quartiere violento e povero a nord di Philadelphia.
Ruffle6, Carlos Pons Guerra, photo by Benedict Johnson
Da non perdere questo capillare lavoro da entomologo della società contemporanea. La scelta che vede l’aspetto performativo e cinematografico in primo piano, contempla comunque anche altre espressioni come la nuova graphic novel di Julie Maroh intitolata Corpi sonori in visione anche dopo il festival da ZOO. Non è la prima volta per la fumettista francese è ospite di Gender Bender: qui infatti aveva già presentato il suo primo famoso lavoro, Blu è un Colore Caldo, vincitore del premio del pubblico al festival di Angoulême nel 2011, da cui è stato tratto il film Palma d’Oro a Cannes La vita di Adèle. Rispetto al suo primo lavoro, che tratta sempre di gender, identità femminile e sesso in modo fresco e diretto, il segno si fa più pastoso e pittorico, i primi piani arditi e decisi. Anche la mostra fotografica da Senape Vivaio Urbano durerà almeno una settimana dopo il Festival. La mostra è costituita da una scelta di fotografie poi diventate il libro fotografico Quel genere di persone che dovresti conoscere (2017) di Simona Pampallona. Simona ha seguito come un “radicante” le vite nomadi di artisti, performer, pensatori, videomaker, amanti della sperimentazione sessuale, sex-workers e pornostar, ne ha trascritto momenti collettivi e individuali attraverso immagini toccanti e vivaci e  interviste raccolte in varie città italiane, europee, statunitensi.
Carmen Lorenzetti

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