Per chi va in giro per festival, Santarcangelo è una tappa obbligatoria (avevamo intervistato il direttore Tomasz Kireńczuk qui). Qui si incontrano vecchi amici, operatori del settore, si mangiano le tagliatelle di Zaghini ma, soprattutto, si osserva e ci si ricorda come l’arte performativa possa essere un veicolo privilegiato per un’analisi critica della società contemporanea.
Si parte da piazza Ganganelli, il vero cuore del festival – arivato alla 54ma edizione -, dove la coreografa lituana Agnietė Lisičkinaitė, in tacchi a spillo sul ciottolato, dispone cartelli per terra. Siamo invitati a prenderne uno e unirci al corteo, sfilando per le strade della città in silenzio con le braccia alzate a sollevare quei cartelli per farli parlare per noi, come ci invita il titolo Hands Up: “Future belong to the youth”, “Black Lives Matter”,”My body my choise” e molti vuoti, in una riappropriazione dello spazio urbano attraverso la marcia, la semplice camminata che ci ricorda che apparteniamo e siamo attori in un contesto sociale, dove l’io diventa noi, il singolo diventa gruppo, che si fa forza di poter farsi portavoce di messaggi.
La fila di corpi è diretta verso il palazzo della poesia, dove l’artista, davanti al video della nostra manifestazione appena terminata, ha iniziato la sua coreografia. Qui, il noi torna a essere io, si perde la dimensione corale come a voler sottolineare che sì le scelte collettive sono il motore del cambiamento del mondo ma è poi il singolo a dover scendere in piazza, a protestare e a marciare, con il suo corpo.
Catatau è un romanzo sperimentale del poeta brasiliano Paulo Leminsk, pubblicato nel 1975. La trama immagina una situazione surreale: il filosofo francese René Descartes viene inviato in Brasile durante le spedizioni coloniali olandesi del XVII secolo. Il testo è caratterizzato da un linguaggio denso e giocoso, che mescola filosofia, storia e cultura brasiliana, esplorando le possibilità e i limiti della comprensione umana attraverso un’esperienza onirica e caleidoscopica.
Da questa visione, l’artista e coreografo brasiliano Bruno Freire propone il suo Matamatá: in un Teatro Lavatoio quasi completamente al buio, tre danzatori – Robson Ledesma, Magdelaine Hodebourg, Annabel Reid -, di cui si percepisce la corporeità solo aguzzando la vista nei momenti di luce, si muovono in una danza ritmica e tribale, come in un sogno o in un film di cui non si ha più ben chiara la memoria. Ma man mano che la luce si accende, la corporeità e la potenza della danza si presentano con tutta la loro portata immaginifica: quali azioni può far compiere un coreografo per far fronte alle sfide del contemporaneo, come la deforestazione e la crisi climatica?
Insieme allo spettacolo Life is not useful or It is what it is, anche questo presentato a Santarcangelo, Matamatá forma un dittico, progetto crocevia tra teatro, danza, letteratura e arti visive, elaborazione di una continua e profonda ricerca dell’artista verso e intorno al meraviglioso. Come racconta Freire: «Partiamo da fabulazioni corporee per far magari danzare i pensieri del pubblico».
Infine Claudia Castellucci omaggia il pittore spagnolo Murillo con Murillo, Lezioni di Elemosina, un tableau vivant dedicato alla serie di rappresentazioni profane dell’artista barocco. Prima di entrare la raccomandazione è quella di girare attorno alla performer come fosse una statua. Ed effettivamente Silvia Ciancimino ci attende, incappucciata e immobile, ma poi inizia a muoversi con gesti minimi ma controllatissimi che rimandano alle figure immortalate dei bambini mendicanti della Siviglia di inizio Seicento, dove da un lato la rappresentazione profana diventava decoro a buon mercato per chi non poteva permettersi arte più costosa, ma dall’altro possibilità di “ammirare” la vita reale, appesa poi su pareti di sfarzosi palazzi.
Un doppio livello di lettura che ci riporta alle contraddizioni del nostro tempo, dove le nostre strade sono sempre più piene di persone che tendono la mano ma allo stesso tempo si è invitati a ripensare il proprio stile di vita, a partire dall’abbandono delle cose materiali.
Come sempre, Santarcangelo è una tappa densa ma necessaria, per ascoltare gli umori e le crisi del tempo e osservare come la performance li faccia propri, interpretandoli ed estetizzandoli.
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