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Al Centre d’Art Contemporain di Ginevra il progetto che mette al centro l’identità AfroGreeks
Arti performative
Il titolo del progetto deriva dall’ultimo manoscritto dello scrittore, attivista per i diritti degli afroamericani e degli omosessuali, James Baldwin, rimasto inconcluso al momento della sua morte nel 1987: Remember This House. La prima mostra, AfroGreeks, è un progetto in fieri del collettivo ateniese Døcumatism coordinato dal regista greco Menelaos Karamaghiolis, che si è raccolto per la prima volta nel 2009 nel quartiere ateniese di Kypseli, luogo particolarmente vivace di incontro di varie etnie. Nel 2015 vengono fatte delle azioni che hanno portato ad una discussione pubblica sempre a Kypseli, fino ad arrivare nel 2019 ad una prima installazione nella biblioteca degli immigrati intitolata We Need Books nella Chiesa Cattolica mentre si svolgevano parallelamente altri eventi partecipativi. A quel punto, il nome del progetto è stato pubblicamente adottato, soprattutto per impulso della giovane generazione della diaspora africana. Partecipano al progetto circa 200 Afro-Greci che vivono e lavorano in Grecia, fieri delle proprie origini africane, e che intendono esprimere a pieno la propria identità.
Al centro del lavoro di Døcumatism vi è il concetto e il valore del documento: quindi i processi che portano ad esaltare e servirsi del documento sono la ricerca, il dibattito tra coloro che diventano co-protagonisti della produzione sociale e artistica, la creazione di nuovi contesti dove potersi esprimere – quindi fuori, nelle strade, non nelle gallerie o nei luoghi paludati e deputati all’arte-mercato – e infine la registrazione attraverso scritti e soprattutto attraverso la restituzione dei pensieri attraverso immagini in movimento che raccontano storie ed esperienze, quali abbiamo visto in mostra, in grandi schermi di forte impatto e coinvolgimento dello spettatore. In occasione della mostra sono state organizzate performance, danza, musica, workshop che avevano il fine di fare incontrare i partecipanti sulla base della riscoperta di storie, usanze e tradizioni della diaspora africana. Particolarmente coinvolgente è stato il giorno dell’inaugurazione con danze e musica che hanno coinvolto il pubblico con ritmi tecno-tribali.
Tra i rappresentanti del gruppo troviamo il cineasta e videomaker Menelaos Karamaghiolis, co-fondatore nel 2009 di Døcumatism; l’antropologa e performer di origini nigeriane Grace Kimela Ege Nwoke, curatrice anche di questa mostra e ricercatrice, organizzatrice, supervisor artistica del gruppo, particolarmente attenta anche ai temi dell’educazione incentrati su progetti di scambio per approfondire temi riguardanti l’inclusività, la visibilità e le possibilità delle comunità africane; Orestis Plakias, marketing manager; Vassiliki Papagiannakoupolou, con esperienza nell’industria dei media e nel giornalismo; Renia Papathanasiou, XR designer e ricercatrice; Katerina Pramatari, docente di economia e affari all’Università di Atene; Petros Damianos, matematico che fa lezione nelle prigioni; Sylvia Kouvali della galleria Rodeo di Londra, Istanbul, Atene; Yannis Papadopoulos, giornalista impegnato su temi sociali. Il collettivo è composto anche da altre figure, attive nella produzione filmica, musicisti, lavoratori del sociale, scienziati, educatori basati ad Atene, ma con relazioni anche con altre realtà, come dimostra la conferenza su temi riguardanti la diaspora africana tenutasi a Bruxelles nel 2022.
In concomitanza si svolge la personale, curata da Andrea Bellini, del filmmaker Menelaos Karamaghiolis, figura di primissimo piano della scena filmica ed artistica greca a partire dagli anni ‘80, attento a figure marginali definite degli anti-eroiche. Si ricorda qui il documentario ROM, nel 1989, all’inizio non apprezzato, ora considerato invece pietra miliare della filmografia documentaristica greca, un “capolavoro che deve diventare un classico della storia del cinema”; BLACK OUT (p.s. RED OUT) nel 1998, un film horror-erotico, primo film postmoderno greco, mentre J.A.C.E. – Just Another Confused Elephant 2012, presentato a 52 festival. È la storia di un bambino albanese a cui viene uccisa la famiglia, che si rifugia in Grecia e vive per strada, il regista documenta la sua vita per quattro decenni costruendo parallelamente un affresco della storia della Grecia. Apre la mostra il film A bird in search of a cage, 2019 con due proiezioni, dove si narra con studiata lentezza e poesia la storia di un adolescente detenuto greco, che non ha voluto parlare per non mettere in pericolo la propria famiglia e che si proclama innocente. Il ragazzo, detenuto per una mezza dozzina di anni, fa amicizia con un cardellino che nutre e cura e che ritorna sempre nella gabbia nella cella del ragazzo. I temi sono la libertà, la cura, le problematiche della vita narrati con una storia struggente. Segue la videoinstallazione City Divers del 2022, girato con il cellulare e proiettato in formati analogici e digitali: si tratta di ragazzi che si tuffano in una fontana durante una notte d’estate. Il regista cattura questo particolare momento veritiero trasfigurandolo, attraverso il gioco delle ombre profonde e la luce zigzante e un rallentamento che si rifà al “paradosso cinetico” narrato da Oliver Sacks secondo cui la lentezza paradossale dei gesti dei malati di Parkinsons produce un effetto di stasi. Il risultato è estremamente poetico e quasi mistico.
Una sala è un omaggio all’amico pittore morto recentemente di cancro Stelios Faitakis (1976-2023). Mentre la mostra finisce con il film Unseen I (2019), con la telecamera che segue un cane randagio che si infila nei raduni di gente che protesta per la dilagante crisi greca, a partire dal 2011. Altri film, video e corti del regista sono visibili nella saletta cinematografica chiamata “Cinema Dynamo”. Il concetto di documentario è utilizzato in maniera letterale dall’artista, nel rispetto e restituzione degli invisibili e degli umili, alcuni arrivano a parlare per lui di Realismo, ma poi Karamaghiolis riesce magistralmente a trasportare il quotidiano nei regni del poetico e dell’immaginifico.