Da laboratorio a festival in dialogo con la cittĂ : i direttori Maria Paola Zedda ed Emanuele Braga ci raccontano la nuova edizione di Le Alleanze dei Corpi, il progetto che porta danza, teatro e performing art a Milano, tra via Padova e San Siro.
Tra antropologia, psicologia, teatro, danza, performing art… Che cos’è Le Alleanze dei Corpi?
MPZ: «Le Alleanze dei Corpi è un progetto che parte da questi elementi, ma si radica poi nel tessuto urbano con l’idea di far emergere tematiche per noi cruciali per la rappresentazione del presente, come il tema della cura, della giustizia sociale, dal femminismo alle politiche di genere. Lavoriamo con dei territori simbolo delle trasformazioni dell’abitare che sta vivendo oggi Milano, ovvero San Siro e via Padova, quartieri lontani che noi colleghiamo con un percorso tra performance, artisti, simposi, talk e proiezioni».
Le Alleanze dei Corpi nasce come laboratorio e poi si trasforma in festival, come è avvenuta questa evoluzione del progetto?
MP: «Le Alleanze dei Corpi è un lavoro che continua ad avere una parte di ricerca, indagine e struttura più a lungo termine. Ci sono poi momenti apicali che emergono facendo dialogare pubblici diversi, come avviene al festival».
EB: «Tutti gli spettacoli iniziano con un momento di ricerca e condivisione dei percorsi degli artisti con gli abitanti dei quartieri che vivono la città . Questi momenti di festa sono il tentativo di far emergere il processo di produzione artistica».
Cosa significa dopo due anni di pandemia tornare a parlare di corpi?
MPZ: «Si è sempre parlato di corpi, soprattutto durante la pandemia, perché i nostri corpi erano inevitabilmente protagonisti anche se invisibili, sottratti alla questione pubblica, sottratti al contatto. Oggi forse vediamo questi corpi in maniera un po’ diversa, con più liberazione e maggiore interazione, portando il segno di quello che è avvenuto. Il festival è l’occasione per goderci tutto di più, anche in termini di danza e festa, al di là della mera disciplina artistica».
EB: «Guardando il programma del festival i corpi emergono su due linee: da una parte ci sono molti progetti che riguardano la creazione di spazi più sicuri, per prenderci cura di noi stessi, penso per esempio al progetto Throwing Balls at Night di Jacopo Miliani con lo spettacolo sul Vogueing, al progetto di Valentina Medda Cities by Night sulla percezione fisica del pericolo nella città , o ancora per esempio il workshop Sensulia (o Prove di Enciclopedia Olfattiva | Neologismi per la Parosmia) di Noura Tafeche e Zoe Romano sull’analisi dei propri sensi. Dall’altra parte invece ci sono progetti che fanno ricerca e analisi su come i nostri corpi siano devastati, precarizzati ed esausti, di non poter più sopportare le condizioni abitative, lavorative, di sfruttamento… Penso allo spettacolo Incondizionatamente, che ho realizzato insieme a Gabriella Riccio/Institute of Radical Imagination & Anna Rispoli, o anche al lavoro di Maddalena Fragnito Radio Gabinetto sulle condizioni lavorative negli anni Settanta a proposito del rapporto tra corpi e tecnologie, dalla catena di montaggio ai lavori digitali di oggi che annientano i nostri corpi. Il festival vuole quindi essere da un lato un momento di analisi di come stiamo fisicamente subendo la città e il suo modello produttivo, e dall’altra la visione di spazi sicuri per prendersi cura del proprio corpo».
Come si integra il festival con il territorio in cui si sviluppa e quali sono le prossime tappe?
MPZ: «Il rapporto con il territorio l’abbiamo pensato in tre categorie principali, quella del corpo e della performatività e quella dello spazio pubblico, in particolare nella relazione tra corpo e spazio urbano, di cui via Padova è un esempio importante grazie alla sua storia, che racchiude una intensa stratificazione culturale e che caratterizza l’abitare in quella zona. Per esempio il lavoro di Francesca Marconi TODES X K^B°B° Orchestra che da anni lavora nel quartiere immaginando via Padova come un corpo e raccogliendo le testimonianze di bambini, lavoratori, sex workers che lo abitano. Invece a San Siro abbiamo lavorato sul tema della giustizia sociale, sulla necessità abitativa, con indagini effettuate sul territorio nei mesi scorsi, invitando alcuni collettivi a far emergere soprattutto le artiste che cantano le liriche di queste zone. Azioni come concerti e proiezioni che implicano una riflessione decoloniale come Listening di Sara Mikolai. Il terzo tema infine è quello della cura, un tema plurale che si innesca in tutta la città , come il progetto Una Sauna di Sara Leghissa/Nobodys Winter Project un’installazione permanente che diventa un centro per il quartiere, e speriamo che chiunque voglia farne uso partecipi, disinnescando l’idea della cura del corpo come lusso, ma renderla accessibile».
EB: «Il festival spera di essere in ascolto di quello che gli abitanti già esprimono, anche dal punto di vista dalla scelta dei luoghi, perché dall’Anfiteatro della Martesana al parco Trotter, che ha una storia sull’educazione auto organizzata e indipendente, da piazza Selinundte e Segesta, cuore del quadrilatero di San Siro alle case Aler, esprimono già tantissimo. Quindi il nostro è un tentativo di creare un dialogo tra gli abitanti e la parte espressiva dei quartieri, sostenendo traiettorie che già esistono ed eliminando blocchi sociali».
Come deve prepararsi uno spettatore e cosa deve aspettarsi dal festival?
EB: «Curiosità e disponibilità a passare da un progetto all’altro, e partecipare attivamente per creare un rapporto con noi, e farsi venire in mente altre idee anche per come continuare Le Alleanze di Corpi una volta finito il festival».
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