Oggi, invece di parlare di performance, oggi vi parlo di una persona che parla di performance. Susanne Franco, professoressa di storia della danza e storia del teatro a Ca’ Foscari a Venezia, ricercatrice nel campo della danza e curatrice. Ci parla di stare al mondo come progetto coreografico. Ci parla di coreografie che nascono dallo sguardo, di coreografie per contagio. Ovvero quello che sta succedendo oggi, grazie all’incontro tra danza e museo.
Il museo non più inteso come grande custode silenzioso del presente e del passato, della cultura materiale e di quella visiva, dedicato a studiosi e visitatori ammutoliti ma il museo come contenitore e luogo d’azione in cui la cultura diventa materiale per definire il futuro, la storia e la democrazia. Oggi nel museo la cultura si spartisce col pubblico che ne diventa agente, la danza diventa strumento e veicolo di quest’avventura che coinvolge il pubblico.
Franco ci mostra una definizione di museo del 2007 e pare davvero il secolo scorso: si tratta ancora di un modello “deposito e catalogo” che sembra venir meno – nella definizione del 2019 credo – per lasciar spazio alle persone, a un pubblico con cui rinegoziare il discorso, abbattere le barriere. I musei si aprono verso l’esterno, integrano pratiche partecipative, il white cube si mangia il black box, nel giro di poco più di dieci anni la fruizione è cambiata e continua a cambiare. La seconda definizione pare ancora utopica, ma è decisamente più vicina al presente.
Con la disgiunzione di danza e coreografia, a cui fa riferimento il titolo della conferenza, la danza si affranca dal balletto, dal teatro, dal tecnicismo e anche dalla specificità di essere danzatori. The mind is a muscle infatti è un – anzi il – lavoro di Yvonne Rainer, coreografa e artista, del 1966. Un assolo senza musica, per tre danzatori, un trio danzato attraverso i movimenti del quotidiano, riprodotto e ripetuto con grande libertà . Da cercare se non l’hai mai visto.
Da quel momento la danza entra, anzi invade la platea e ne chiede ancora, non vuole più il teatro ma penetra nel museo. Non è più chiara la distinzione tra coreografo e artista, perché, per citarne uno su tutti, William Forsythe decide di riempire una stanza di anelli sospesi al soffitto, invece che di danzatori. Si chiama Fact of Matter, è un lavoro del 2009 alla Biennale Danza di Venezia. Danza, anzi gioca, esperisce il suo corpo, chi entra. E chi entra gioca come vuole con gli oggetti coreografici fatti per spostare il corpo nello spazio e nel tempo. L’obbiettivo – il challenge come lo chiamerebbero i bambini di oggi – è attraversare le stanza usando solo gli anelli. Franco ci racconta questo experiential turn, è il pubblico a realizzare il concetto dell’artista.
Ci parla di esperienze internazionali e di altre molto nazionali come Dance Well – movement research for Parkinson di Bassano del Grappa. Qui la danza si trasforma in un processo site specific, senza finalità terapeutica: è pratica artistica in un museo, gratuita e aperta a tutti. I malati diventano danzatori, l’arte nutre la pratica e crea una nuova modalità di relazione fisica e nuovi canoni di bellezza. Diventa veicolo di una nuova identità , di benessere fisico e di inclusione. Coreografi e artisti internazionali vengono in residenza al Centro Scena Contemporanea di Bassano per studiare, collaborare e creare con questa nuova classe di danzatori.
Ci parla di tanto altro Susanne Franco ma lo spazio è finito. Grazie, grazie, grazie.
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