Tilda Swinton si muove con una grazia leggera e ha uno sguardo mobile e affilato, come un felino appena uscito dalla giungla. Novello Ariel del Ventunesimo secolo, possiede lo stesso magnetismo di David Bowie nell’Uomo che cadde sulla terra e i gesti postumani dei personaggi del Cremaster 3 di Matthew Barney. È a suo agio nella lunga navata del padiglione al Mattatoio, assistita da Olivier Sailliard nel disporre i 40 costumi che Danilo Donati ha realizzato per i film di Pier Paolo Pasolini. Li tocca, li accarezza, alcuni li indossa, ma preferisce dire che “ci gioca”. Ogni gesto è misurato, ogni movimento scaturisce da un’attenzione che sfiora il soprannaturale. Sul pavimento coperto da drappi bianchi Tilda è una presenza sottile ma determinata: scarta i pesanti abiti-corazze per l’Edipo Re, la cui trama ricorda le sculture in lana di metallo di Pascali, estrae da scatoloni di cartone gualdrappe marezzate, maschere cinesi in giada, veli e cappelli di piume. Riaffiorano alla memoria i riferimenti storico artistici ai quali Pasolini, allievo di Roberto Longhi, teneva tantissimo. I cangianti di Pontormo e Rosso Fiorentino, i mantelli di Salomone e la Regina di Saba negli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo, le stoffe pesanti di Giotto e Masaccio. Per Tilda sembrano oggetti estranei, li descrive con poche parole pronunciate con un fil di voce, mima espressioni tragiche che sembrano tratte dai volti straziati dalle figure dei dolenti nel Compianto sul Cristo Morto di Nicolò dell’Arca. Diva bambina, guarda gli oggetti con attonita meraviglia, li scarta, li piega, li appoggia a terra, li solleva con trasporto, senza risparmiarsi. A volte queste azioni sono accompagnate da musiche che rompono il silenzio, altrimenti interrotto solo dal fruscio delle stoffe e dai passi leggeri di Tilda.
Fino al poetico finale, quando scarta abiti e accessori eseguiti per Salò o le Centoventi giornate di Sodoma davanti a uno specchio, rivelando un pizzico di vanità femminile: cappellini, corsetti, perfino un bouquet da sposa vengono manipolati e osservati con uno sguardo malinconico, prima della conclusione affidata all’abito indossato da Totò in Uccellacci e uccellini. L’ultima riflessione riguarda il titolo dello spettacolo, nell’ambito del progetto Romaison curato da Clara Tosi Pamphilj: Embodyng Pasolini. In inglese la parola “embodying” sottintende la presenza di un corpo, mentre in italiano il termine si traduce con “incarnando” sottolineando invece l’elemento della carne. Tilda non è carne ma puro corpo, proteso a donare la sua fisicità lunare agli abiti, realizzati con materiali molto tattili e preziosi. Sono loro i veri protagonisti, mentre lei appare flessuosa e volatile, come se il suo corpo fosse fatto di una forma sottile di energia, giunta a noi direttamente dal futuro.
(Ludovico Pratesi)
Ci sono momenti nei quali si arriva a sublimare il passato ricreando delle stanze temporali nelle quali convergono il presente, e il futuro. Gli oggetti, i costumi di scena diventano dei portali attraverso i quali si dirama la conoscenza. Incarnare Pasolini, implica incarnare la sua essenza attraverso la bravura dell’attrice e performer Tilda Swinton, con ieratica presenza in una cinematografia “svuotata” dai corpi degli attori si svolge l’azione performativa. I costumi disegnati da Danilo Donati diventano soggetto e oggetto di una pratica evocativa; ridotti al silenzio, prigionieri di uno stato statuario.
Un’epifanica metamorfosi nella quale si susseguono gestualità, silenzi, accompagnati dai costumi. Questi ultimi irradiano citazioni colte dalla storia dell’arte, metafisiche composizione dalla quali emergono il riferimento dagli affreschi di Piero della Francesca siti in Arezzo nei quali è possibile discernere gli abiti e i cappelli a comignolo dei sacerdoti: dal Il Vangelo Secondo Matteo del 1964.
Queste composizioni, estensioni atemporali, vedono protagonisti un unico colore, sgargiante, fortissimo, la cui fonte di ispirazione è l’araldica, dai Racconti di Canterbury.
La rigidità dei primitivi, i pittori precedenti a Giotto sono fonte di ispirazione per Donati che li inserisce come fonte per realizzare i costumi dei ricchi del Decameron, le tuniche hanno un corpo di cotone alle quali sono collegate maniche di feltro che hanno uno snodo al gomito. Ci sono anche rimandi ai materiali poveri nei quali si vedono le reminiscenze all’uso del tessile nell’arte, come le forme prendano ed irradino colori e volumi nei quali si instaurano voluttuose origini.
Le tracolle dei cacciatori o meglio ciò che le ricorda nel metodo nel quale il tessuto viene ripiegato su se stesso, i costumi sono composti da casacca con gonna a portafoglio con il mantello, tutto di colore bianco, che si completano con i maestosi elmi di ferro battuto e lunghe alabarde, realizzare per il film Porcile.
In questo susseguirsi di rimandi, è il corpo etereo della Swinton a diventare un residuo arcaico, dal quale la conoscenza si innesta come un baluardo nel quale il pensiero ricostruisce quell’unità indistinta di soggetto e oggetto. La performance riesce a colmare le distanze temporali, salta la realtà, frapponendosi nel sogno, proiettando nel futuro i desideri impalpabili.
Secondo Max Weber, «Il rituale del culto religioso contiene ovunque ingredienti magici molto importanti», ed è in questa messa in scena che risiedono elementi religiosi e ingredienti magici che convergono in una stasi. La performance ideata dalla storico della moda Olivier Saillard è una forma raffinata, di elevata conoscenza più segreta nella quale si sovrastrutturano prelogicamente passaggi che portano nel regno del desiderio. Un desiderio Embodying Pasolini, a Roma, oggi, e negli annali della storia del costume, della moda e dell’arte.
(Camilla Boemio)
La performance sarà trasmessa live streaming su www.romaison.it
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