Chiusura in grande stile per il Festival Aperto di Reggio Emilia, con la presenza della belga Anne Teresa De Keersmaeker, interprete di una performance site-specific alla Collezione Maramotti Max Mara, e della compagnia olandese NDT2 al Teatro Romolo Valli, con due lavori per il giovane ensemble del Nederlands Dans Theater: Folkå di Marcos Morau e An Untold Story di Nadav Zelner. Il primo titolo, del coreografo spagnolo Morau, tuona sonoramente e visivamente dall’inizio alla fine con un ritmo percussivo – sound design di Juan Cristobal Saavedra – e composizioni vocali del London Bulgarian Choir, che ammaliano e trascinano. I movimenti rigorosi, serrati, pulsanti degli interpreti – ginocchia a terra, scatti delle teste, braccia intrecciate e in più direzioni, in riga, in alto e in basso -, celebrano un rituale antico, comunitario, che richiama nel presente un passato di ricorrenze popolari dove vige la condivisione, la cerimonia della vita, il senso di comunità da ritrovare oggi.
14 performer vestiti uguali – gonne nere, maglietta bianca decorata, e spalline – da sembrare un’unica entità, creano una polifonia di gesti tanto fisica quanto di suono. Ondeggiano a scatti tra suoni di campanacci, belati di pecore, tonfi, brusii, respiri all’unisono, canti mistici, evocando storie ancestrali e umane. Sembra un richiamo della natura a emergere, dalla penombra costante alla luce – light designer Tom Visser -. Dal gruppo si stacca una donna, prima a terra poi sollevata, presa in braccio, riassorbita dentro il cono luminoso che si espande e irradia l’ensemble. Smembrandosi ruotano tutti come dervisci, saltellano, girano in cerchio, riprendono l’unisono fino a fondersi incantati dentro un firmamento che appare sullo sfondo inondando di piccole luci la platea. Una coreografia mozzafiato salutata dal caloroso consenso del pubblico.
Prima italiana anche per An Untold Story del coreografo israeliano Nadav Zelner. Su un affascinante collage di musiche popolari balcaniche, un trascolorare di luci acide, un set scenografico quadrato di pedane sulle quali scivolare, e una fila di lampade antimosche, la danza energica, ruvida e indisciplinata dei performer si espande celebrando la vita, il divertimento, la follia, l’intimità e la vulnerabilità. Vestiti con abiti attillati, gambali fino a metà coscia, lunghi guanti giallo-verdi, le labbra dipinte di blu, si muovono tra inciampi e scivolamenti come insetti fastidiosi dentro una pozzanghera viscosa. A tratti sostano bevendo da un grande vaso, ricaricando le energie e riprendendo la frenesia che li anima fino a cadere a terra come mosche. Appare un disinfestatore col compito di stordirle e metterle in fuga. Allo sciamare in gruppo segue un assolo che chiude lo spettacolo.
Ospite, quest’anno, dello spazio museale della Collezione Maramotti, dove negli anni abbiamo visto artisti come Trisha Brown, Shen Wei, Wayne McGregor, Saburo Teshigawara, Dimitris Papaioannou, Hofesh Shechter, Peeping Tom, chiamati per creare performance site-specific appositamente pensate per mettere in dialogo la danza e le arti visive, è stata la belga Anne Teresa De Keersmaeker, da sempre esploratrice rigorosa e prolifica del rapporto tra danza e musica, da quella antica agli idiomi contemporanei e popolari. La performance Bist du bei mir (The Goldberg Variations, BWV 988) ideata dalla sessantaquattrenne coreografa e danzatrice di culto della scena contemporanea internazionale – il cui nome è legato alla compagnia Rosas da lei fondata -, prende il titolo in riferimento a un brano del XVII secolo di Gottfried Heinrich Sölzel. Questo brano è stato registrato in uno dei due quaderni di spartiti Notenbüchlein für Anna Magdalena Bach dedicati da Bach alla moglie, in prossimità dell’Aria Goldberg, che in questo quaderno appare per la prima volta come composizione a sé stante.
Presenza magnetica per maturità espressiva e fisica, l’abbiamo seguita nel suo lungo assolo spostandoci attorno e accanto a lei negli ampi spazi espositivi, impegnata in un solitario e vibrante dialogo con le opere e l’architettura del museo, accompagnata e sollecitata nella sua danza dalle note pianistiche delle celebri Variazioni Goldberg di Bach eseguite da Alain Franco. In jeans, scarpe da ginnastica, t-shirt e giacca, De Keersmaeker entra buttando via prima le scarpe per rimanere a piedi nudi, poi la giacca. Soffia sulla mano, alza il braccio, si guarda attorno e inizia il suo viaggio introspettivo nella memoria del corpo. I gesti, i movimenti, le sue posture da un punto all’altro, abitano e fanno vivere lo spazio. Sono camminamenti, sospensioni, accelerazioni, saltelli, barcollamenti, blocchi improvvisi, intersezioni, estensioni a terra, sguardi che, insieme a braccia e gambe, tracciano linee e direzioni. Calcola le distanze, indica un punto, trova la rotta, si appoggia alle pareti alle colonne di cemento, si avvicina alle vetrate, guarda fuori, sosta accanto al pianoforte, lo scorre, vi si sdraia sotto. Sembra immagazzinare nel suo corpo la musica e da essa lasciarsi subito trasportare seguendo quel flusso interno che la muove.
In un crescendo di dinamiche coreografiche, la relazione tra danza musica e arte contemporanea vive di ulteriori meravigliosi contrappunti quando si avvicina alle opere esposte – il piano con le creazioni di Mario Merz La Mandria, La frutta siamo noi, Coccodrillo e serie di Fibonacci al neon piccolo e grande, o le pagine di piombo Buch (The secret life of plants), di Anselm Kiefer, Trucioli e calamita di Eliseo Mattiacci – tessendo con esse un connubio tra sguardo, spazio, gesto, colore e forme, di grande fascino.
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