È ormai il secondo anno che nella programmazione dell’Estate Romana compaiono gli eventi di Hidden Histories, il progetto di pratiche performative nello spazio pubblico a cura di Sara Alberani e Valerio Del Baglivo, ora con la preziosa collaborazione di Marta Federici. Attraverso le voci e le pratiche di artist* contemporane*, Hidden Histories 2021 propone cinque incontri che rileggono le collezioni museali, i monumenti, gli edifici e lo spazio urbano di Roma attraverso la sensibilità decoloniale.
Le iniziative del 2021 sono già partite a giugno, con EUR(H)OPE, l’esplorazione del quartiere EUR insieme al collettivo Stalker e il talk con BANKLEER al MAXXI. Dopo la pausa agostana, Hidden Histories torna a settembre con tre nuovi appuntamenti insieme a Josèfa Ntjam, Leone Contini e Daniela Ortiz. Noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con Alberani e Del Baglivo per conoscere il progetto più da vicino e le prossime iniziative. Ve lo raccontiamo qui.
Le Hidden Histories, le storie nascoste, sono quelle invisibilizzate dalle narrazioni egemoni, le quali spesso e volentieri sono riconosciute come universali, impossibili da scardinare. Con questa iniziativa, Alberani e Del Baglivo propongono nuove possibilità di apprendimento e di ricerca, per una rilettura del passato in grado di decostruire i preconcetti, e solo così immaginare un nuovo presente, un altro futuro.
Non c’è un unico filone, un argomento specifico intorno al quale si articolano le iniziative: «Abbiamo voluto lasciare ad artisti e artiste lo spazio di intervenire, senza costringerlə dentro un tema specifico», spiegano i curator*. Il progetto è pensato per riflettere in chiave decoloniale sull’eredità storico-artistica della città di Roma. «Questa è la dichiarazione d’amore che facciamo alla nostra città», commenta Valerio Del Baglivo, «cerchiamo di ridefinire alcuni luoghi dell’Urbe al di fuori delle retoriche egemoni. È anche un modo per avvicinare a tematiche complesse la comunità locale, a partire dai luoghi che già conosce, provando a guardarli da un’altra prospettiva». D’altronde entrambi i curator* hanno un rapporto di lunga durata con la Capitale: Del Baglivo è nato e cresciuto a Roma e Alberani vi abita da oltre 12 anni.
La conoscenza dei luoghi è un punto di partenza essenziale del lungo processo curatoriale che arriva a definire la programmazione di Hidden Histories. Sull’onda lunga di alcune politiche capitoline per la cultura, le pratiche performative stanno finalmente vivendo una stagione fortunata a Roma. In tale fermento si innesta questo progetto, che avvia nuovi percorsi di riappropriazione dello spazio pubblico nel post-pandemia, attraverso le pratiche performative. Al centro della riflessione ci sono proprio i corpi, che tornano protagonisti dopo il lungo periodo di distanziamento e chiusura, chiamati a incontrarsi (in totale sicurezza e nel rispetto delle normative vigenti) e a interagire con gli spazi urbani.
Hidden Histories nasce in seno a LOCALES, la piattaforma curatoriale fondata da Alberani e Del Baglivo. Il progetto non si risolve in un unico appuntamento, ma si sviluppa nell’arco dei tre anni del finanziamento ottenuto, e ambisce a radicarsi nella città di Roma, diventando una costante nell’approccio alla città.
Se le idee erano nate già prima della pandemia, è durante il primo lockdown che i curator* le hanno sviluppate, nel paradosso che solo quest’epoca eccezionale ci permette di pensare ai corpi senza poterli incontrare, di individuare i luoghi senza potervi accedere. «Eravamo in isolamento e la prima cosa che ci è sembrata importante da fare era coinvolgere artist* che si occupassero di performance, lavorando con il proprio corpo e con quello delle persone invitate. E ripartire da questo, tornare ad abitare e ripensare gli spazi urbani», riferiscono.
Hidden Histories si articola quindi in tre declinazioni: performance inedite prodotte per luoghi specifici, workshop in collaborazione con NABA e Roma Tre, ed esplorazioni dello spazio pubblico. A queste macroaree si affiancano le presentazioni, le interviste e i talk, online e dal vivo. «Nel 2021 si è aggiunta Marta Federici, che si occupa della sezione delle narrazioni di Hidden Histories», spiega Alberani. «Ci siamo resi conto che i soli appuntamenti non bastavano più, che era necessario dare spazio a tutte quelle storie cancellate, invisibili, ritenute minori. Marta cura tutta la parte delle interviste e dei dialoghi con artisti e artiste. Ci si confronta sul loro lavoro, sul rapporto con la città, sugli sviluppi della loro ricerca stimolat* da questa iniziativa. Le interviste vengono pubblicate nella newsletter (a cui ci si può iscrivere dal sito) e su Nero».
L’originalità del progetto risiede anche nell’approccio ai luoghi ospitanti. Musei, strade e monumenti non sono la mera scenografia delle azioni, ma vengono attivati dalle performance, interpellati criticamente, in un’ottica decoloniale. «Quando utilizziamo questo termine, ci riferiamo alla nostra storia passata, al processo di colonizzazione in Africa, ma anche al concetto esteso della colonialità del sapere occidentale, troppo spesso ritenuto egemonico e universale. È difficile pensare ad altre pratiche come paritarie, ed è questo che noi intendiamo mettere in discussione». Prende forma uno spazio di auto-apprendimento collettivo, che incoraggia la costruzione di saperi altri: «Noi ragioniamo su un piano simbolico, e non abbiamo la pretesa di fornire verità assolute. Attraverso gli eventi ci orientiamo insieme in questo campo espanso, stimolando le riflessioni».
Inseriti nella programmazione dell’Estate Romana, gli appuntamenti sono frequentati da un pubblico che non è detto che già conosca gli artisti e le artiste, o le pratiche performative in generale, ma che è disposto a mettersi in gioco, a vivere le esperienze sospendendo il giudizio. «Si creano così dialoghi diretti, che alimentano i significati trasmessi e il progetto stesso, che cambia e cresce con noi. L’incremento della sezione dedicata alle narrazioni proviene da questa naturale evoluzione». Non a caso, come suggerisce Alberani, «la parte interessante di Hidden Histories è la crescita collettiva, non calcolata ma sempre incoraggiata».
Da segnare sin da ora sul calendario, l’appuntamento del 9 settembre (in due repliche, alle 20:00 e alle 21:00) con Josèfa Ntjam alle Terme di Diocleziano. L’artista e poetessa, al suo primo intervento in Italia, pende le mosse dall’iconografia di mosaici e statue dai temi marini presenti nel sito archeologico e nelle collezioni del vicino Museo Nazionale Romano. Ntjam indagherà gli elementi mitologici, politici e artistici associati all’acqua e al suo culto, con un’attenzione all’impiego curativo, sociale, ma anche estrattivo nel sito delle Terme, in chiave femminista.
Come già anticipato, la scelta dei luoghi proviene da uno scambio tra Alberani e Del Baglivo, i quali intravedono relazioni possibili tra spazi e artist* che affrontano tematiche d’interesse per il progetto. È il caso di Leone Contini, che da anni lavora sul tema delle collezioni etnografiche, come possiamo leggere in questi articoli su «roots§routes».
Il 22 settembre nel talk presso la nuova sede romana di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, Contini introduce i principali nuclei tematici della propria pratica artistica e le ricerche condotte intorno alla storia e alla collezione, ora smembrata, dell’ex Museo Africano di Roma, aperto dal 1904 al 1971 e dedicato ai popoli e alle culture delle colonie italiane d’Africa.
Il caso viene approfondito durante il workshop dal 22 al 24 settembre, intitolato Museo Fantasma e condotto da Contini presso il campus romano di NABA. Qui l’artista svilupperà un più ampio discorso sulle implicazioni delle collezioni etnografiche in rapporto all’eredità coloniale italiana. Proprio questa relazione è al centro dell’attenzione di Contini, che tenterà una “ricostruzione evocativa” della collezione, con l’intento di riportare alla luce una storia – quella del colonialismo italiano in Africa – volutamente dimenticata, e parallelamente discutere i paradigmi euro-centrici su cui si fonda la disciplina museografia applicata alle collezioni etnografiche e non solo.
Ultimi appuntamenti con Daniela Ortiz, per la prima volta in Italia. Il 28 settembre si terrà un talk alla Reale Accademia di Spagna, in cui Ortiz introdurrà le tematiche e le metodologie della propria pratica artistica, attraverso i suoi lavori più recenti. La conversazione anticipa la performance al Gianicolo in due repliche il 29 e il 30 settembre. Ortiz è stata chiamata a lavorare di fronte alla statua di Anita Garibaldi, “l’eroina dei due mondi”, moglie del ben noto Giuseppe. Raccontano i curator*: «Anita Garibaldi è posta defilata, alla fine di una lunga fila di statuaria maschile, ed è connotata in maniera assolutamente stereotipata: isterica, con i capelli al vento, in una mano la pistola da combattente e nell’altra un neonato in fasce, per non dimenticare l’aspetto materno delle donne. Senza contare che la sua rappresentazione manca totalmente di fedeltà rispetto alle sue origini sudamericane, ritraendola come una donna bianca occidentale». A partire dal monumento e dai documenti storici di celebrazione di Anita Garibaldi prodotti durante il fascismo, Daniela Ortiz mira a generare una narrazione visiva in cui vengono esplorati i concetti di nazionalità, razzializzazione, classe sociale e genere, per comprendere criticamente le strutture del potere coloniale e patriarcale che permangono ancora nello spazio pubblico. La scelta di Ortiz è emblematica, in quanto incarna in prima persona questi discorsi, da madre migrante, artista e attivista.
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