Tra i festival che in questo settembre, di ritorno da un’estate ben strana, hanno costellato il territorio italiano “in presenza” (e lanciando, allo stesso tempo, un programma online) c’è stato il forlivese Ibrida Festival delle Arti Intermediali, che la settimana scorsa ha trovato spazio all’Arena San Domenico in tre serate ricche di suggestioni.
Giunto alla quinta edizione, sotto la direzione artistica di Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, il Festival oltre ad una lettura della videoarte italiana ad opera dei critici e docenti Piero Deggiovanni, Silvia Grandi (curatrice e coordinatrice di Videoart Yearbook dell’Università di Bologna) e Pasquale Fameli (dottore di ricerca in Arti Visive Performative e Mediali all’ateneo bolognese), ha anche mostrato – nel vero senso della parola, proiettando – una serie di risultati della video arte degli ultimi anni, tra cui un focus sul lavoro di Devis Venturelli, vincitore del premio Alinovi Daolio 2019.
Artista e architetto (nato nel 1974 a Faenza), mostre e partecipazioni a festival e esposizioni che vanno dal Centre Pompidou di Parigi, alla Haus der Kulturen der Welt di Berlino, alla Biennale di Venezia, fino alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e alla Kunsthalle di Vienna, di Venturelli segnaliamo sicuramente l’affascinante Sculp the motion, video del 2017 dove l’artista indaga il profondo rapporto tra architettura e forma umana, rimandando quasi a un’estetica futurista in una dimensione ambientale minimal, così come è minimo il set di Pneumotion, identificativo di un respiro comune e coordinato del mondo. E infatti queste forme antropomorfe e vestite in maniera scoordinata sono a loro volta uniti nelle estremità. Sporting Club, video del 2015, muove invece una serie di emblemi sportivi (palline da tennis e palloni da calcio, o da rugby) in antiche sale affrescate di putti e stemmi, guardando alle attività dell’uomo con un grandangolo temporale, omettendo però la presenza umana dalla scena del gioco.
Decisamente interessante è stata l’esecuzione dal vivo di Krakatoa, progetto video di Carlos Casas musicato da Enrico Malatesta.
L’azione, creata seguendo il tema degli “Archive Works”, ovvero sperimentazioni con materiali d’archivio, found footage e film classici che Casas esegue trasformando questi documenti in un vero e proprio nuovo film, ha aperto l’abisso per quasi un’ora, sul palco dell’Arena San Domenico.
Il suono di Enrico Malatesta con i suoi strumenti provenienti da “altre geografie” riesce a far entrare nella dimensione dell’esplosione e poi della quiete, in un crescendo che ricorda proprio l’attività più spaventosa e sublime della natura, quella dei disastri.
E la storia del Krakatoa è forse la più affascinante sul genere: quando il vulcano del Borneo, nel 1883, eruttò, pare che arrivò a sprigionare un’energia pari a 200 megatoni. Se poco ve ne intendete, basti sapere che il rumore dell’esplosione pare che fu presumibilmente il più forte mai udito sul pianeta in epoca storica. Il boato del Krakatoa si sarebbe sentito infatti a 5mila chilometri e il maremoto che che seguì alla distruzione del vulcano rilasciò in quel tratto di oceano di una serie di onde alte 40 metri che si infrangevano sulle coste a 300 chilometri orari…
Un evento irraccontabile, al quale l’arte prova a dare una dimensione.
Un po’ come Ibrida prova a trovare la dimensione di quell’angolo di “visivo espanso” a cui le immagini non bastano più, ma che devono fondersi con i linguaggi della musica, della performance, dell’azione, per potersi caricare della loro potenza e poi dissolversi nell’aria.
Un appuntamento importante in una città, Forlì, che da qualche anno si sta rivelando fucina di una nuova sperimentazione che tiene conto delle arti dal vivo. E la pandemia, stavolta, non è riuscita a rovinare del tutto i piani, anche grazie al sostegno del Comune e dell’Associazione Vertov, in prima persona per lo svolgimento di Ibrida.
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