Anche quest’anno Short Theatre ha lasciato il segno con un’edizione dalla programmazione ricca e diffusa in tutta la città di Roma, dal centro alle periferie, coinvolgendo anche spazi nuovi e inconsueti. Dal 3 al 17 settembre si sono avvicendati i protagonisti di questa XVIII edizione del festival internazionale dedicato alla creazione contemporanea e alle performing arts. Radical Sympathy è il titolo di Short Theatre 2023, evocativo di un sentire insieme che avvicina e allontana, provoca sinergie e divergenze, attraversa i corpi. Accessibilità, attraversabilità, decolonialità, teoria e pensiero critico contemporaneo: queste le linee direttrici che hanno mosso il festival, per un’esperienza plurale e collettiva. Sono 17 le location coinvolte quest’anno – oltre alle già note anche delle new entries – e si rinnova la relazione con gli enti e le realtà del territorio. La direttrice artistica, Piersandra di Matteo ci ha raccontato com’è andata quest’edizione.
Ci racconti com’è nata l’idea di chiamare questa edizione di Short Theatre Radical Sympathy?
«È nato dal desiderio di investigare la dimensione degli affetti nello spazio della performance, in linea di continuità con la corsa edizione. Abbiamo convocato una parola di uso comune – simpatia – e provato a declinarla. Ci è venuta in soccorso il pensiero filosofico che coglie nella nozione di simpatia non soltanto un sentimento umano ma una forza “impersonale” che attraversa i corpi umani e non umani, una corrente gravitazionale, una sensibilità barometrica che definisce la consistenza delle presenze. Short Theatre 2023 ha cercato di esercitare la performatività – l’intra-azione tra corpi, qui e ora, attraverso la costruzione di una durata – proprio a partire da questo circuito del sensibile fatto di attrazioni e repulsioni. È anche un modo per suggerire che il festival può non essere consonante o concordante con quello che ci piace, anzi è un’esperienza che ci pone di fronte a qualcosa che non avevamo previsto, che ci sposta. Un sentire insieme attraversato da diversi luoghi, umori, temperature».
Quali sono i temi alla base di questa edizione di Short Theatre e come pensi li abbia percepiti il pubblico, qual è stata la sua risposta?
«I temi sono molteplici e interconnessi. Senz’altro c’è una riflessione sulle estetiche “fuggitive”, su quelle esperienze artistiche che si oppongono all’idea che l’universalismo bianco possa comprendere e appropriarsi di tutto. Si tratta di opere anti-catartiche, non concilianti, che lavorano per sottrazione e punti irriducibili al senso, che traggono alimento dalla vita sociale nera.
Il festival ha preso avvio con Fred Moten, filosofo e poeta della nerezza, al Teatro Argentina. Abbiamo voluto incontrare la sua poetica politica, nel cuore della città, nella tessitura testuale che è al contempo pronuncia teorica capace di convocare una proliferazione di presenze e voci delle comunità nere. Abbiamo attraversato il lavoro di Ligia Lewis, artista a cui abbiamo dedicato un focus attraversando diverse dimensioni: con un talk, un’opera filmica, una masterclass per performer, un incontro al centro diurno per minori non accompagnati CivicoZero e lo spettacolo Still Not Still, scrittura coreografica che, rifacendosi alle danze macabre medievali e alle lamentazioni, tesse una composizione di gesti e voci per smentire l’idea che tutti i corpi sono uguali, come non lo sono tutte le morti.
In generale il pubblico è stato tanto e generoso: ho colto una predisposizione alla scoperta, ma anche il diritto a chiamarsi fuori, al di là del banale esercizio giudicante. In particolare nel secondo weekend, credo che le persone si siano sentite toccate, attraversate. Penso al lavoro di Théo Mercier che ha chiuso l’edizione nel parcheggio sotterraneo de I Granai. Questo andamento di sintonizzazioni è forse proprio lo spazio in cui può aver luogo una “radical sympathy”: una corrente che, attivata dall’esperienza estetica, attraversa i corpi in una dinamica calamitante».
Dalla scorsa edizione lo Short Theatre con la sua programmazione ha messo in atto una “disseminazione urbana” che connette centro e periferie del territorio di Roma, attraverso il linguaggio delle arti performative contemporanee. Cosa accade in una città così grande quando si attiva la rete di un festival come Short Theatre?
«Il team di Short Theatre in questi anni ha fatto una riflessione attenta sulla città e i suoi spazi, a partire dalla carenza di strutture adeguate alla ricerca quotidiana. E ha cercato di allearsi con quei presidi territoriali che lavorano tutto l’anno, immaginando una rete di collaborazioni per concertare insieme momenti di emersione nei giorni del festival. Intarsi e attraversamenti anche con luoghi non deputati alla scena hanno provocato una configurazione dell’esperienza diffusa dell’urbano. Ci siamo mosse dal Teatro del Lido di Ostia al Teatro Biblioteca Quarticciolo, dall’Acquario Romano con la sua monumentalità classicheggiante al Monte dei Cocci a Testaccio. È stato un modo per “visitare” la città, attraversandola: i corpi influenzano e ri-significano gli spazi e gli spazi come vis causandi hanno influito e influenzato presenze e gesti. Fare questo tipo di lavoro in una città come Roma, con tutte le sue criticità, la sua logistica complessa, è stata una sfida che però ci è sembrata ineludibile soprattutto dopo la pandemia. Abbiamo certamente corso dei rischi ma la grandissima risposta di pubblico è stata una conferma.
Nell’idea di diffusione, c’è anche una parte del festival che resta “sommersa” ma che però è per noi è centrale: è la sezione Reciprocity” pensata per creare safe space dove diverse soggettività possono praticare insieme mettendo in circolo istanze ascolto reciproco. Un palinsesto diurno di laboratori, pratiche di scambio, processi di trasmissione di saperi, momenti di alta formazione, che si sono svolti per lo più al Teatro India, rivolti a tutte le persone interessate, adolescenti, performer. È il caso di Sotto il sotto del bosco di Chiara Bersani che ha lavorato con persone con disabilità motoria nello spazio di Carrozzerie | n.o.t.».
Quest’anno tra le 17 location coinvolte due importanti new entries: il Teatro Nazionale e il Teatro Basilica. Impressioni e aspettative su queste nuove collaborazioni?
«Devo ringraziare il soprintendente del Teatro dell’Opera di Roma, Francesco Giambrone che ha accolto, subito e con entusiasmo, la proposta di intrecciare le nostre programmazioni, compiendo uno sforzo molto importante con la riapertura del Teatro Nazionale. È stata un’operazione combinata che ha visto l’artista Sofia Jernberg, con una performance vocale che è partita dal repertorio barocco per arrivare a forare la partitura vocale con delle sonorità e trilli etiopi fino alla diplophonia. Insieme a lei l’installazione di Romeo Castellucci IL Terzo Reich con la musica di Scott Gibbons: una riflessione sul potere del linguaggio. Credo che nei prossimi anni la ricerca performativa sarà in grado di creare dei legami inediti con il mondo dell’opera, mi sembra che questa esperienza al Teatro Nazionale sia già un primo passo in questa direzione.
Il Teatro Basilica, in piazza San Giovanni, è una realtà che sta rifiorendo grazie al lavoro importante che sta facendo con dedizione Alessandro Di Murro, insieme con la sua compagnia, focalizzandosi sulla drammaturgia contemporanea. Abbiamo avuto una convergenza su Daria Deflorian che ha presentato la prima fase di ricerca a venire su La Vegetariana dell’autrice coreana Han Kang. Con l’attrice Giulia Scotti, Deflorian ha composto un lavoro scarnificato, capace di interrogarci su come viviamo, sentiamo, pensiamo, su come costruiamo le nostre memorie a contatto con i mondi che la letteratura sa convocare, in una dinamica di usciate e rientro dalla fabulazione biografica».
Questa edizione di Short Theatre è la seconda che ti vede al timone della direzione artistica (dopo la co-direzione nel 2021 con Francesca Corona), cosa ti rimarrà impresso più del resto di questa edizione, cosa ti porti a casa e quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Sono ancora febbricitante, il festival ha affilato modi di sentire. La cosa che mi porto di più è la gioia di farlo, in complicità con tutto il team, a cui sono grata.
Progetti futuri? C’è Short Theatre 2024! E tra le altre cose, co-curerò, insieme a Paul Briottet, le residenze multidisciplinari e il programma di attività e workshop dell’Académie del Festival d’art lyrique d’Aix-en-Provence. Sono contenta perché potrò sperimentare i linguaggi della performatività contemporanea nello spettro ampio dello spettacolo dal vivo, incluso il mondo dell’opera».
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