Il prossimo 23 maggio saranno tre mesi dall’invasione russa dell’Ucraina. Molte da allora sono le cose cambiate. A infrangersi è stata soprattutto la nostra convinzione di un mondo sicuro, l’idea di una sostanziale concordia tra i grandi Paesi della Terra, pronti a farsi garanti di pace e stabilità in ogni angolo del pianeta. Siamo improvvisamente ripiombati in un clima da Guerra Fredda. Oriente e occidente sono tornati ad affrontarsi a muso duro, come 50 anni fa. In questo clima di diffusa preoccupazione l’arte non cessa di farci riflettere e mentre si combatte “in guerra qualcuno raccoglie fiori”. È questo il titolo della performance ambientale che la giovane artista pugliese Alessia Lastella (Trani, 1996) attuerà domenica, 22 maggio, presso l’ex base militare Jupiter, nell’Alta Murgia (località Ceraso, in agro di Bitonto).
Si tratta di una delle dieci basi costruite dagli americani nel 1959 tra Puglia e Basilicata, con il consenso del governo italiano, in quel periodo guidato da Amintore Fanfani prima e Antonio Segni poi, per ospitare missili puntati sull’Unione Sovietica. Ogni missile era alto circa 30 metri e aveva una testata nucleare di 1.45 megatoni, ovvero una potenza distruttiva cento volte superiore a quella delle bombe atomiche lanciate nel 1945 su Hiroshima e Nagasaki. Nel 1963 le basi vennero smantellate grazie all’accordo tra il presidente americano John Kennedy e quello russo Nikita Krusciov, in seguito alla famosa crisi di Cuba. Relitti di archeologia bellica, queste strutture, dopo anni di azione naturale, si stanno sgretolando e la natura sta lentamente riprendendo il suo posto.
Nella dismessa base bitontina (oggi di proprietà privata), per una sola giornata, si svolgerà il progetto di Lastella. Curato da Alexander Larrarte con la collaborazione di Carmelo Cipriani, la performance si qualifica come un work in progress, capace di ulteriori, possibili sviluppi. L’obiettivo è quello di stimolare una riflessione sull’attuale periodo storico, un momento di guerra e di crisi internazionale, lanciando un messaggio di speranza e pace partendo dal rispetto della natura a cui tutti apparteniamo. Un problema apparentemente secondario in un momento di guerra ma che rischia di farci perdere di vista l’unico vero nemico comune: il cambiamento climatico.
È infatti notizia nota che la crisi energetica generata dalla guerra ha portato l’Europa a ritardare i piani della transazione energetica, riaprendo le centrali a carbone. L’artista, che da tempo utilizza gli elementi vegetali quale prioritario mezzo di espressione, visitando il sito, ha riflettuto sulla capacità della natura di riappropriarsi di quel luogo. In quel che resta della base missilistica, l’artista avvierà un dialogo con la fredda architettura e gli elementi del paesaggio, attraverso quattro installazioni site specific. Un’operazione articolata e complessa che aiuterà la natura a riconquistare gli spazi perduti. Un segnale di vita che parte da un luogo costruito per procurare morte e un monito di speranza per un futuro più sostenibile e pacifico.
L’intero progetto sarà documentato dal fotografo Girolamo Aliberti e dal videomaker Stefano Lotito e sarà fruibile in futuro, presso uno dei musei in Puglia.
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