Se si volesse racchiudere il senso di questa stagione storica in una frase amletica, lâespressione enough not enough â titolo ideato per il festival di arti performative di Santarcangelo dal suo direttore Tomasz KireĹczuk â ce ne restituirebbe la temperatura. Cosa può essere abbastanza, o non abbastanza, quando si parla dellâoggi e del futuro? Dove si situa il nostro agire?
âAbbastanzaâ è un termine errante, impiegato sia per indicare qualitĂ che quantitĂ . Può delineare una possibilitĂ in positivo o in negativo, un movimento tra due posizioni apparentemente divergenti, un territorio di mezzo mobile e indefinito che ci permette di esprimere la porositĂ della condizione individuale e sociale. Questa soglia sfumata, lasciata aperta a nuove direzioni di senso, è lo spazio scandagliato dalle opere performative, teatrali e musicali dei molti protagonisti internazionali che hanno animato per dieci giorni lâestate santarcangiolese, conclusasi con successo una settimana fa.
KireĹczuk ha scelto dâindagare il limine del presente attraverso le questioni di genere, le diversitĂ e le nazionalitĂ , le esistenze di dissenso o le azioni comunitarie, anche piĂš marginali. E sempre mediante la centralitĂ del corpo, della sua lingua che diventa teatro per dare spazio e potere a quelle parti dellâuomo inascoltate dalla societĂ contemporanea.
Tra i diversi spettacoli visti negli ultimi due giorni, ce ne sono stati alcuni particolarmente significativi e coinvolgenti. Come la Vaga Grazia di Eva Geatti che ha esplorato insieme a cinque giovani attori e performer friulani la possibilitĂ dellâessere di raggiungere un altrove grazie allâagire infrasottile dello spirito. Il punto di partenza per la loro incursione tra movimento, voce e suono è stato il romanzo Il Monte Analogo (1952, incompiuto) dello scrittore RenĂŠ Daumal, un racconto di avventure alpine senza epilogo che si conclude con una virgola e che lascia dischiusa la storia allâimmaginazione del lettore o dellâinterprete. Come sottolinea Geatti, è ÂŤLâunico romanzo al mondo (si dice) che si conclude con una virgola, e lĂŹ mi pare di percepire il pendolo tra il visibile e lâinvisibile che mi interessa provare in scena e il proseguimento della scrittura sul palco.Âť
La Vaga Grazia si dispiega nello spazio come metafora di un viaggio iniziatico di ricerca verso lâautenticitĂ dellâessere. Una regia sorprendente che ha condotto allâauto-creazione corale in tempo reale degli attori nella ricerca di coreografie inedite, ispirate dal lungo lavoro relazionale di gruppo e da un concerto di suoni sintetizzati prodotti dal vivo dal compositore Dario Moroldo in omaggio a una musica sperimentale anni â50.
Il corpo come unione di logos e di luogo dellâessere è il fulcro del lavoro di Anne-Marie Van, danzatrice-coreografa francese in arte Nach, che ha trasformato il krumping in una forma di conoscenza del mondo e delle sue identitĂ plurime partendo dalle origini di questa danza urbana, nata nei primi anni 2000 in un sobborgo di Los Angeles. Nulle part est un endroit (= nessun posto è un luogo), titolo ispirato da una scultura di Richard BaquiĂŠ, è una performance-conferenza, unâopera sui generis, durante la quale Nach ha spiegato al pubblico con energia e ritmo un linguaggio performativo praticato anche nelle banlieu (dove lei stessa ha avuto il suo âbattesimoâ) alla scoperta di un codice simbolico, ritualistico â una vera propria lingua alternativa di contro-risposta resiliente allâemarginazione sociale, che ha abbattuto i confini culturali e geografici. Il krumping è unâarte di comunicazione sociale soggetta a regole e riti, traslata dallâartista su un piano universale grazie a inedite contaminazioni con gestualitĂ antiche, e altrettanto simboliche, prese dal flamenco, dal butĹ, dal kathakali. In questa straordinario lavoro il refrain del festival enough not enough riecheggiava nellâaria rafforzando il messaggio che siamo energia errante, corpi mobili, centri e periferie del mondo.
E mentre il teatro contemporaneo ha confermato grazie al festival la sua vocazione di grande scultore dei moti esistenziali, altri progetti piĂš installavi hanno contribuito a coinvolgere il pubblico in unâesperienza sociale di scambio, partecipazione e confronto. Ă stato cosĂŹ per The Guxxi Fabrika, a cura di Cote JaĂąa ZuriĂąa, un laboratorio sartoriale temporaneo ospitato dentro un chiosco in legno in piazza Ganganelli durante i dieci giorni festivalieri. Ideato da un collettivo di quattro donne di etĂ , nazionalitĂ e professioni diverse, il progetto nomade invitava le persone a cooperare con le performer con il âtaglio e cucitoâ di capi, accessori e oggetti dâarredo sia barattando i prodotti realizzati con altri prodotti di qualsiasi genere o con servizi. Unâopera ironica di critica ai sistemi consumistici della nostra societĂ (gli oggetti erano realizzati con il tipico tessuto plastificato tartan bianco, blu e rosso delle sporte della spesa, da qui il rimando allâidea di un brand evocato dal titolo) che capovolge la prospettiva capitalistica nellâesercizio libero di scambio e divertimento.
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