Ă il peso di unâeterna punizione, quella che lo condanna a un lento e perpetuo vagare. Curvato sotto il peso di un enorme muro portato sulle spalle e trascinato avanti e indietro nel grande spazio, lâuomo si fa largo in mezzo al pubblico itinerante che segue il suo camminare senza meta, mentre un altro si aggira, senza guardare dove e urtando gli spettatori, tenendo sulle braccia un mucchietto di mattoni fino a coprirgli il volto. Siamo dentro il vasto spazio museale della Collezione Maramotti di Reggio Emilia, istituzione privata di arte contemporanea che ogni due anni chiama â in collaborazione con Max Mara e Fondazione I Teatri nellâambito del Festival Aperto 2019 â un coreografo internazionale per una creazione site-specific. Questâanno, lâinvito della Collezione Maramotti è caduto su Dimitris Papaioannou, il coreografo, regista, performer e artista visivo greco, genio riconosciuto per la sua potente e originale scrittura visiva in movimento, derivata dal gran lavoro sul corpo capace di trasfigurazioni simboliche che attingono a fonti mitologiche, letterarie, pittoriche, cinematografiche: un immaginario costruito con materiali di Arte Povera.
Sisyphus/Trans/Form, questo il titolo, sâispira, in parte, a Still life, spettacolo rivelazione del talentuoso Papaioannou con la sua metafora del mondo del lavoro, dove persone costrette a compiti spesso inutili e mortificanti venivano rappresentate senza alcuna speranza di emanciparsi. In Sisyphus/Trans/Form di avvilente e vano câè lâazione ripetitiva del costrittivo vagare. Tutto si svolge nel silenzio assoluto, rotto soltanto dallâansimare dellâuomo per la fatica, e dallo sgretolarsi di pezzi di calcinacci che si staccano dalla parete del muro. Il rumore arriva amplificato da un microfono tenuto in mano da un âmaestro di cerimoniaâ. Questi è lo stesso Papaioannou. In completo nero â divisa anche degli altri performer -, egli è parte del meccanismo scenico che lo vede manovrare un occhio luminoso disposto su un carrello mobile a terra, a illuminare in avanti la traiettoria, sempre deviata, del moderno Sisifo.
Del mito greco sappiamo la condanna â inflittagli da Zeus per la sua tracotanza e per i molti inganni â a far salire su un monte dellâoltretomba un enorme macigno destinato a rotolare di nuovo giĂš dalla cima, per essere ancora spinto in alto. E cosĂŹ via per tutta lâeternitĂ . Papaioannou, ispirandosi alla rilettura che ne diede Albert Camus, cantore dellâassurditĂ dellâesistenza (per il filosofo francese, Sisifo è un condannato libero, che conosce perfettamente la sua miserabile condizione ma non rifiuta il proprio destino) lo innerva di uno sguardo contemporaneo che possa illuminare la ricerca di senso dellâessere umano.
Con i suoi tableaux vivant alla Collezione Maramotti (ÂŤPenso il corpo umano come un campo di battaglia: provo a farlo a pezzi, per poi rimontarlo di nuovoÂť, in questa dichiarazione è racchiusa la poetica di Papaioannou, come giĂ vi scrivevamo a proposito del suo omaggio a Pina Bausch) lâimpatto visivo tipico di Papaioannou è dato dal gioco dâillusione che crea scomponendo e incastrando gli arti di due performer â ai quali, nello scambio, si aggiungerĂ un terzo â dentro lo squarcio invisibile che si produce al centro della parete (di gomma dura e spessa). Inghiottiti, espulsi e riemersi dalla crepa, i corpi sâibridano con unâintricata serie di movimenti, torcendosi e girando busto, braccia, gambe e piedi, fondendosi lâuno nellâaltro per effetto di illusioni ottiche della figura umana in cerca di equilibrio. E di solidarietĂ .
SarĂ una donna, infine, a intervenire scambiando i ruoli, dopo che allâuomo sarĂ stato tolto un simbolico, informe fallo, e infilato nellâabito maschile indossato, nel frattempo, dalla donna. Ă lei, adesso, a farsi carico del pesante muro. Lâultima scena è unâulteriore condanna dellâuomo nella sua fatica del vivere. Nudo, di schiena, schiacciato su una parete, poi sostituito da un altro, è costretto a trattenere con tutte le parti del corpo delle sottili lastre di legno nero che il âcarneficeâ man mano inserisce incastrandole. Fino a che, esausto e senza piĂš forze, lâuomo cede lasciando cadere tutto.
Una liberazione dal castigo divino? Non sappiamo se rientri anche nella performance, ma lo stesso regista, dopo gli applausi, ritorna con dei secchi in mano a raccogliere da terra i calcinacci sgretolatisi dal muro. Semplice ed emblematica azione che si presta a ulteriori riflessioni sul nostro tempo. E sullâartista.
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