Le ultime settimane d’estate a settembre sono ricche di festival. Su exibart vi portiamo alla scoperta di alcune delle manifestazioni dedicate allo spettacolo dal vivo più curiose e interessanti sulla scena nazionale, parlandone con direttrici e direttori. Oggi abbiamo intervistato Maria Paola Zedda direttrice artistica – insieme a Emanuele Braga – del festival milanese Le Alleanze dei Corpi. Dal 14 al 24 settembre, e con spin-off il 18 ottobre.
Cos’è Le Alleanze dei Corpi?
«Le Alleanze dei Corpi è un progetto artistico nato a Milano, da una coesione di due realtà che lavorano nell’ambito della danza, ZEIT e DIDstudio. Il progetto è incentrato sulla relazione tra corpo e spazio pubblico, con una specifica attenzione al tema del confine, che diviene metodo ma anche campo di indagine e di attraversamento: un confine urbano, linguistico, geografico, culturale, di genere. In una relazione serrata con tematiche vicine ai cultural studies, la danza e la performance permettono alle istanze della contemporaneità di diventare emersione, attraverso processi partecipativi, spettacoli, incontri».
Qual è il rapporto del festival con i quartieri in cui si svolge?
«Il progetto, più che un festival, è un percorso annuale, che ha un momento apicale nel mese di settembre, grazie al sostegno del MIC e del Comune di Milano per Milano è viva. È nato inizialmente nel quartiere di via Padova, zona simbolo delle migrazioni e dei processi diasporici dai Sud del mondo, laboratorio di coesistenza tra culture e comunità diverse.
Qui si continua ad ancorare attraverso programmi specifici, in particolare nelle giornate del 23 e del 24 settembre legate alla riflessione sulla decolonizzazione nell’ambito della performance e della danza contemporanea.
Dallo scorso anno, ha poi aperto le sue traiettorie verso San Siro, attraverso una complicità serrata con il Kinlab, laboratorio interdisciplinare che ha sede in piazza Segesta, e che quest’anno ospita un importante momento di riflessione, workshop e simposio sulla giustizia climatica, Climate Justice League. Sempre a San Siro, Attila Faravelli e Nicola Ratti ci condurranno all’esplorazione acustica del Boscoincittà, un percorso tra ecologie e politiche dell’ascolto a cura di Claudia D’Alonzo.
Il progetto poi si apre a una costellazione di spazi e relazioni, dal Parco Lambro, alla Cascina Biblioteca e alla Fabbrica del Vapore, dove ha sede l’associazione».
Qual è il tema dell’edizione 2023?
«Quest’anno il festival è una creatura bifronte. Intercetta due temi che naturalmente riverberano, si guardano, e si intrecciano tra loro: quello dello “spazio comune”, inteso come contesto in grado di creare un mondo condiviso che ospiti, sostenga ed esprima una comunità, e EXTRABODIES; una riflessione sul tema dell’eccedenza dei corpi, della loro incontenibilità, dell’impossibilità a rispondere a una norma. Corpi eccentrici, altri, irregolari, plurali e insieme singolari, post-organici, corpi queer.
Nel programma spazi e corpi diversi dialogano ribaltando immaginari, smarginando i bordi, sostando sui confini, ricercando nuove ecologie epistemiche e collaborative».
Quali sono gli appuntamenti da non perdere?
«Tengo molto alla giornata d’apertura con l’incontro Spazio pubblico – Spazio comune – Soglie, spazi trasformativi, usi civici: la città come commoning con Stavros Stavrides, architetto e sociologo greco, attivista e teorico dei commons, il cui pensiero è stato generativo di diverse edizioni del progetto (una tra tutte Communities in movement), e che sarà in dialogo con Annalisa Metta (docente di Architettura del Paesaggio), Elisabetta Consonni (coreografa), Alessandro Bollo (manager della cultura, progettista), Emanuele Braga (artista e attivista), Marco Minoja (Direttore Cultura Comune di Milano).
La prima settimana di EXTRABODIES legata al corpo, alla transizione, alle istanze queer, “all’irregolarità” come rivendicazione estetica e politica vedrà artisti nell’ambito della coreografia, della performance e delle arti visive. Tra questi Enzo Cosimi, insieme all’attivista trans Egon Botteghi con i video di Stefano Galanti, Jacopo Benassi con Lady Maru, Jacopo Miliani, Dogyorke (Yuri D’Ostuni).
Il raffinato percorso di Silvia Rampelli – Habillé d’eau, Body Farm, rappresenta un’eccezione nel programma del festival: sarà un luogo di contemplazione, che prende nominalmente spunto dalle Body Farms – centri di ricerca di Antropologia Forense, creati in America per studiare la decomposizione dei corpi – cogliendo il riverbero di alcune analogie di linguaggio.
Un percorso particolarmente importante per il progetto è quello rappresentato dalle due giornate del 23 e del 24 settembre intorno al tema How To Decolonize Contemporary Dance, al Parco Trotter, costruito con la complicità di Barbara Stimoli e Francesca Marconi e in dialogo con il gruppo Ippolita. Un simposio performativo, per riflettere sulla relazione tra decolonialità e danza contemporanea. Un laboratorio orizzontale in cui far convergere e condividere pratiche e teorie sul tema del corpo nella contemporaneità, sui contenuti e sulle estetiche che veicola, e su come queste si rifrangono sulle forme artistiche del presente.
Infine, il 18 ottobre il festival si conclude con Marie Caroline Hominal in Le Cirque Astéroïde».
Qual è la canzone colonna sonora del festival?
«Sicuramente Oh Bondage up yours degli X-Ray Spex, gruppo punk ‘77 britannico. Alla voce l’immensa Poly Styrene, nata Marianne Joan Elliott-Said, cantante di origini somalo-scozzesi, con un look e una voce strepitose. Un inno femminista da una delle prime voci black del punk».
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