Abbiamo partecipato in anteprima a una delle performance di “Io poeto tu”, la mostra dedicata a Simone Carella (1946 -2016) che inaugura la sezione POLIFONIA del MACRO. L’happening, intitolato Scommettiamo che se fisso una donna la faccio arrossire, fa parte di “Perché gli artisti fanno le mostre e poi se ne vanno”, i cinque interventi di Anna Franceschini studiati assieme al direttore del MACRO, Luca Lo Pinto.
Simone Carella, figura iconica del teatro d’avanguardia romano dagli anni ’60 agli anni ’80, è al centro degli interventi di Franceschini, finalizzati a «Lavorare sulla forma “mostra” e sull’istituzione “museo” e spazio espositivo» come lei stessa ci ha spiegato. «Volevo costruire una serie di interventi e azioni materiali e immateriali, in presenza e non, dentro e fuori museo, da portare a casa e da guardare e basta. Si tratta di riflettere sui confini, a volte labili, tra spazi, situazioni e interazioni», ha continuato Franceschini. La performance prevede una video-chat privata con Ambrosia che restituisce la dimensione ipnotica e intima dello sguardo di Flavio Sorrentino, iniziatore al teatro di Simone Carella.
Non appena iniziata la nostra video chat, sono stata catapultata in una dimensione irreale e sensuale dove ho incontrato Ambrosia sdraiata sul suo letto, avvolta in uno stupendo abito in piume di The Attico e calzature e gioielli Virili. Nella sua stanza sono disseminati oggetti vari, che rimandano alla sua poetica e al suo pensiero: tra un San Sebastiano di Pinturicchio e un poster di Anna Oxa si è svolta la nostra conversazione, durante la quale rimango stupita dal modo in cui Ambrosia riesca a costruire una conversazione in cui sembra di conoscersi da sempre. Il mio occhio viene catturato da una pagina bianca del Manifesto Futurista della Lussuria che aleggia su una parete, di cui Ambrosia mi recita un verso: «La Lussuria, concepita fuor di ogni concetto morale e come elemento essenziale del dinamismo della vita, è una forza».
La performance, che come ci ha spiegato la stessa Ambrosia è dedicata alle sue amiche Greta La Medica e Lea T., ha la durata di tre mesi e si svolge in una stanza circondata da videocamere che consentono di sbirciare voyeuristicamente nell’intimità dell’artista. Attraverso la conversazione con l’interlocutore, del tutto privata, Ambrosia fa riflettere sull’uso delle parole e su quanto forte sia il loro impatto sulle persone. La realizzazione del progetto è avvenuta grazie alla collaborazione di Paoli De Luca, Daniele Ragosta, Davide Favetta, Adelaide Vasaturo e Giovanni Salsano, ribadendo la sua visione sociale dell’arte (pur in piena pandemia).
Vincenzo D’Ambrosio è nato nel 1993 a Napoli. Dopo gli studi in comunicazione, si trasferisce a Milano per studiare fotografia, dove ha iniziato un percorso di sperimentazione artistica facendo del suo corpo il principale mezzo espressivo. Vincenzo, o Ambrosia, è qualcosa di ancora da definire, un modo di essere difficile da descrivere (qui potete leggere la nostra intervista, per la rubrica per The Underground).
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