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Serralves, il museo performativo
Arti performative
La rassegna The Museum as Performance, giunta quest’anno alla sua ottava edizione ci parla dell’interdisciplinarità che contraddistingue la programmazione del museo Serralves di Porto, e della volontà di presentare le molteplici possibilità espressive delle performance, dal lavoro con il linguaggio, con il teatro (attraverso l’attenzione alla parola e agli oggetti di scena), alle connessioni con il disegno o la scultura. “La performance vive di intersezioni: tra discipline, interessi, ambiti di ricerca, persone. È un mezzo ibrido (per fortuna), difficile da definire. Estremamente collaborativo, riunisce persone con background e aree di interesse diversi” precisa Pedro Rocha, tra i curatori del programma, insieme a Cristina Grande e Ricardo Nicolau. E aggiunge “la performance propone possibilità “altre” rispetto al modo in cui ci relazioniamo con ciò che ci circonda. La cura e la guarigione, problematiche ora al centro dell’arte contemporanea (dopo tanto tempo in cui queste parole generavano sfiducia, perché troppo connesse con l’arte terapia), sono legate proprio a questo interesse nello stabilire connessioni, e a favorire l’incontro tra ciò che apparentemente può sembrare separato. Oltre a questo è significativo sottolineare lo spazio che il Museo dedica agli artisti sonori, e al rapporto tra suono e arti visive. Il programma di quest’anno include mostre e performance di Christina Kubisch, Pedro Tudela, Tarek Atoui, Ryoji Ikeda. Per The Museum as Performance abbiamo selezionato opere che hanno una forte relazione con il suono e la dimensione dell’ascolto, indipendentemente dal fatto che siano presentati come performance, installazioni sonore, o esplorazioni rituali della voce”.
Il 10 e 11 settembre si sono alternati negli spazi del museo e nel parco circostante una decina di artisti. Matteo Marangoni per Echo Moiré, ha ideato una coppia di dispositivi mobili con altoparlanti che esplorano le proprietà acustiche del luogo, per creare immagini sonore che fluttuano nell’aria. L’opera è ispirata alla composizione Vespers di Alvin Lucier che già nel 1968 indagava la percezione spaziale e fisica del suono. L’installazione Phantom Word Spatial di Diana Deutsch, porta invece in superficie “parole fantasma”, che nascono dall’ascolto di frammenti di parole senza senso. Il fruitore, che attraversa lo spazio composto da diversi altoparlanti, si trova immerso in un mindscape immaginifico in cui appaiono evanescenti sequenze di parole e frasi.
Presentato in anteprima internazionale al Museo Serralves, Tirana di Luísa Saraiva è una coreografia che esplora le fisicità del canto, della respirazione e della voce femminile. Nasce dalla raccolta di canzoni popolari portoghesi e dal repertorio polifonico femminile reinterpretato da quattro performer, che interagendo con dispositivi sonori creati dalla sound artist Inês Tartaruga Água diffondono sonorità inaspettate e ibride. Dispositivi che diventano una sorta di protesi scultorea che funziona come un polmone o una corda vocale, che permette di modificare i suoni, il respiro e il canto delle performer in tempo reale.
“Oltre a questi paesaggi sonori astratti, abbiamo voluto presentare la performance Desmaio Da Natureza di Mariana Caló & Francisco Queimadela, artisti che hanno lavorato su una serie di cianotipi raccolti nella collezione di piante del Parco Serralves. Hanno realizzato inquadrature e spirali all’interno delle immagini, ingrandimenti e rotazioni per renderli enigmatici. Una sorta di “concerto per/con le piante” visto che la doppia videoproiezione è stata sonorizzata dal vivo dal musicista João Pais Filipe. Desmaio Da Natureza invita lo spettatore a riflettere sul concetto di Natura, perché è tempo di riconoscere che noi (specie umana) dobbiamo ridefinire il nostro ruolo nell’ecosistema. Non siamo noi il centro attorno al quale tutto deve ruotare”, precisa Pedro Rocha.
Altrettanto legata ad una riflessione tra corpi e natura è la performance MOLD di Sara Manente, una ricerca che nasce riflettendo sulla doppia simbologia del titolo. Mold è un tipo di fungo e il nome di contenitore cavo per creare un modello con una forma specifica. Come fungo funziona come una rete miceliare che cresce in modi apparentemente ingovernabili per connettersi, colonizzando, infettando, digerendo, fruttificando e produrre spore. Questo è accaduto sullo stage dell’auditorium, dove Marcos Simoes, Gitte Hendrikx, e la stessa Manente hanno “fermentato” la pratica performativa con innesti provenienti da letture eterogenee, come l’ecofemminismo e il post-umanesimo.
L’ultima performance presentata, è stata la lecture performativa di Evan Ifekoya che ha trasformato lo spazio del roseto, nel giardino del museo, in un contenitore rituale. Nell’oscurità sono state evocate diverse concezioni temporali, dando la priorità all’aspetto corporeo e intuitivo rispetto a quello teorico e intellettuale.