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Nessun silenzio sul femminicidio: la performance di Chiara Ventura a Torino
Arti performative
di redazione
Il 2023 si è chiuso con un dato agghiacciante: 111 vittime di femminicidio in Italia. Si tratta di emergenza oppure di una situazione che, ormai, si è radicalizzata? Le due ipotesi non sono per forza in contrasto ma individuare i termini giusti è un’operazione fondamentale, per capire come intervenire per sanare quella che è una questione sociale di estrema importanza. A riflettere sull’argomento, partendo proprio dai nomi – quelle delle vittime, le identità, le persone – sarà Chiara Ventura per Mi chiamo fuori, performance che si svolgerà sabato, 13 gennaio, alle 22:30, all’interno dell’Azimut Club di Torino. L’opera rientra nell’ambito di Performing The Club, progetto che mette in dialogo arte contemporanea e club culture: al termine di Mi chiamo fuori, infatti, si terrà la techno-night Genau.
Performing The Club
Curato e promosso da Cristina Baù, Performing The Club indaga il rapporto poliedrico e multidisciplinare tra clubbing, musica, performance art, visual art e danza. Fondamentale il coinvolgimento dei pubblici, trasversali ed eterogenei, chiamati a vivere in presa diretta ogni performance. «Ripartendo da forme alternative di utilizzo di location non convenzionali, come ad esempio i club, lo spazio stesso diventa contenitore di forme di arti performative più elaborate e raffinate, in cui le emozioni di chi le esegue si fondono con le sensazioni di chi ne fruisce».
Azimut Club è un punto di riferimento per gli amanti della nightlife in città. Attivo dagli anni ‘80, il vecchio edificio in mattoni di via Modena 55 ospitava al suo interno l’omonima galleria d’arte Modena 55 e apriva le porte a giovani clubber (e non) quando il quartiere sulla Dora era ancora lontano da ogni riscoperta creativa. Oggi il locale continua a offrire un programma originale di eventi. In una scena musicale spesso legata a dinamiche troppo commerciali, vuole diventare il ritrovo per ascoltare dj-set e live di alta qualità (artistica e per standard audio), ma anche per partecipare a eventi culturali.
Mi chiamo fuori: la performance di Chiara Ventura da Azimut Club
«Ora non grido più,/ giunta al termine della mia voce,/ anche le botte sono finite/ e così finalmente anche la mia prigionia/ in questa cella di sordi, muti e ciechi,/ muoio in un paese invalido,/ che poco a poco ogni giorno/ sposta il mio sgabello…/ impiccata dalle mie corde vocali,/ ho smesso di lamentarmi», queste le parole con cui Chiara Ventura introduce la sua performance.
Nata a Verona, il 19 giugno 1997, Ventura ha incentrato la sua ricerca su un approccio di carattere esistenziale, partendo da notazioni biografiche. Tra figura e astrazione, pratiche concettuali, plastiche e performative, emerge un’analisi sul corpo, sulle relazioni e reazioni intessuta con la psiche, l’emotività e l’Altro. Nel 2020, in piena pandemia da COVID-19, co-fonda insieme a Romina Cemin, il progetto collettivo menodi30caratteri con il quale indaga e denuncia le problematiche che il mondo virtuale produce nel mondo reale attraverso un account Instagram (il progetto muore un anno dopo con la chiusura del profilo). Nello stesso anno, insieme a Leoanrdo Avesani, co-fonda plurale, «Una forma collettiva di presenza nel mondo».
Negli spazi dell’Azimut Club di Torino, Ventura rappresenterà «La violenza esercitata sulle donne attraverso una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale». Al di là delle parole, Ventura vuole mettere al centro l’azione, anzi la rieducazione delle «Dinamiche sociali contemporanee che necessitano di un cambiamento pragmatico», in particolare per le nuove generazioni: «Senza aggiungere aggressività al lacerarsi delle ideologie, ma portando il tema in uno spazio che vive grazie all’energia dei giovani».