-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Una voce e un gesto, per non dimenticare: la performance di Filippo Riniolo al MAXXI
Arti performative
Il pollice a spostarsi a destra e a sinistra, a dividere chi è sopravvissuto e chi no. Un normale movimento che facciamo sempre con il nostro telefono, che ripercorre il medesimo movimento, raccontato da Primo Levi in “Se questo è un uomo”, quando la sorte dei prigionieri viene definita semplicemente dallo spostare il foglio consegnato all’ufficiale a destra o a sinistra. Da un lato, la vita, dall’altro la morte.
Mezz’ora di lettura di nomi e cognomi, una atmosfera permeata di angoscia e silenzio assordante. Filippo Riniolo sostiene che non bisogna dimenticare, che la memoria deve essere ancora viva, nitida, che ci deve far pensare, riflettere. Al Maxxi, dopo un talk molto intenso con Ruth Dureghello, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, e Mario Venezia, Presidente della Fondazione Museo della Shoah, assieme ai curatori Micol Di Veroli e Francesco Cascino, l’artista riempie la sala con la sua sola voce, accompagnata da una musica, una canzone, “Rosamunda”, che veniva usata nei campi di concentramento. Una canzone allegra ma angosciante perché diventa una nenia, una ripetizione infinita, per mezz’ora, sottofondo di una sfilza di nomi che più vengono letti più cresce l’ansia, l’angoscia, anche il senso di colpa.
L’artista si muove incessantemente sulla sedia sopra cui è seduto, accompagna lo scorrere dei nomi sul suo smartphone, come si muove una madre mentre tenta di addormentare il proprio figlio sulla carrozzina. Qui, il movimento accompagna alla morte. I nomi, i cognomi, sono familiari, li conosciamo tutti, a Roma sono riconoscibili e il pensiero va a ognuna di quelle famiglie che, per anni, ha aspettato invano il ritorno dei familiari dai campi di concentramento. È in ordine alfabetico, sono tantissimi, troppi, tutti quelli deportati quel 16 ottobre 1943, 1023 persone, di cui tantissime donne, 363 uomini, 207 bambini e bambine. Solo in 16 sopravvissero, 15 uomini e Settimia Spizzichino.
Spizzichino appunto, uno degli ultimi cognomi letti da Riniolo. Prima del suo tanti, tantissimi: Coen Citoni Anticoli Curiel Del Monte Della Rocca Della Seta Della Torre Della Torre Di Capua Di Castro Di Nepi Di Segni Di Tivoli Di Veroli Efrati Funaro Leoni Levi Limentani Mieli Moscati Ottolenghi Pace Pavoncello Pergola Perugia Piattelli Piazza Pioerno Polacco Pontecorvo Sacerdote Romanelli Sabatello Sciunnacche Sed Sermoneta Sonnino Spagnoletto Spizzichino Tagliacozzo Veneziani Volterra.