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«Uno sguardo inedito sulla mia carriera». Marina Abramovic si racconta in vista della grande mostra a Londra
Arti performative
Si terrà dal 23 settembre al 10 dicembre 2023 alla Royal Academy of Arts di Londra la mostra “Marina Abramovic“, la più grande mai organizzata nel Regno Unito, una ricognizione sui 50 anni di vita e arte della celebre performer. In vista di questo evento abbiamo posto alcune domande a Marina Abramovic, una delle personalità più rilevanti e controverse dell’arte contemporanea, che con le sue creazioni ha rivoluzionato l’idea di arte performativa. Artista serba naturalizzata statunitense e attiva fin dagli anni Sessanta, si autodefinisce la “nonna della Performance art”. Memorabile e radicata nell’immaginario collettivo, tra le tante opere realizzate, “The Artist is Present”, anno 2010, presso il Moma di New York.
Il suo sguardo profondo, indagatore, sempre in cerca dell’insolito e dell’ineluttabile ci proietta su dimensioni e scenari inaspettati. La vita è quella cosa che ti succede fuori dallo schermo… È così anche per lei? Oppure sono le felici coincidenze a determinare le nostre scelte?
«Le coincidenze felici non condizionano le mie scelte, la vita lo fa. Sono curiosa della vita, voglio sperimentare nuove cose, viaggiare in posti dove non sono mai stata. Le idee che uso nel mio lavoro vengono dalla mia vita e queste esperienze. Coincidenze e tutto».
Lei è stata una delle prime donne artiste a ottenere un successo planetario. Dopo di lei molte sono state le donne artiste apparse. Pensa che la sua presenza le abbia influenzate?
«Non posso rispondere a questa domanda io stessa, deve chiedere alle donne che affermano di essere influenzate da me. Io pubblico il mio lavoro nel mondo e le reazioni della gente sono così differenti, positive e negative allo stesso tempo. La libertà di interpretazione è molto importante».
Ha affermato: “Ricordo che andai alla Biennale di Venezia per la prima volta all’età di 14 anni insieme a mia madre, quando scesi dal treno cominciai a piangere. Mia madre chiese il motivo di quel pianto e io risposi: piango per tutta la bellezza che vedo in questa città. Tutto è bellissimo”. In questa sua espressione di stupore di molti anni fa c’è racchiuso il “cuore bello” della città lagunare. La sua iniziazione all’arte da Venezia, in quel giorno specifico? La bambina dalla lunga treccia avrebbe mai immaginato un giorno di ricevere il Leone d’Oro come miglior artista nella magica città propiziatoria?
«La visita alla Biennale di Venezia fu importante per me ma non mi influenzò a diventare un’artista. Avevo già iniziato a disegnare e dipingere i miei sogni, e all’età di 14 anni ho fatto la mia prima mostra personale. Sentii che il mio destino era già segnato prima che lo sapessi e forse questa è l’emozione che ho provato quando ho visitato Venezia».
Stiamo vivendo un cambiamento epocale in continua evoluzione tecnologica e virtuale. Come saranno ricordate e percepite le opere di Marina Abramovic tra 20 anni? La Performance dell’umanità prevarrà ancora?
«Questa è un’altra domanda a cui non posso rispondere, solo il tempo potrà farlo. Quello che so è che ciò che conta è che qualsiasi nuova tecnologia si sviluppi, ma che al contempo gli esseri umani abbiano ancora bisogno di emozioni, comunicazione e relazioni (legami, contatti) nella loro vita. Spero che la tecnologia non sostituisca mai tutto questo».
Nell’autunno 2023 la Royal Academy of Arts di Londra dedicherà a Marina Abramovic una retrospettiva che ripercorrerà l’intero suo percorso artistico. Cosa dobbiamo aspettarci?
«La mostra della Royal Academy of Arts reale non sarà una tradizionale retrospettiva, sarà un nuovo modo di vedere il mio lavoro. Includerà fotografia, tecnica mista, film, video, scultura. Includerà il lavoro di tutti i diversi periodi della mia vita e sarà presentato tematicamente, invece che cronologicamente. Questa mostra darà al pubblico la possibilità di vedere diversi aspetti del mio lavoro e della mia ricerca.
Cosa prova quando raggiunge un obiettivo di tale rilevanza?
«Ad essere onesta, non credo raggiungerò mai l’obiettivo. Quando lo raggiungi può morire. Sono sempre alla ricerca di un nuovo obiettivo».
Suo padre è stato un generale, fondò il governo dell’ex Jugoslavia insieme a Tito. Sua madre è stata la direttrice del National War Museum di Belgrado. Essere figlia di genitori così autorevoli ha influenzato la sua formazione artistica? Le hanno impartito una disciplina molto rigida?
«Sono grata all’educazione della mia famiglia. Mi ha resa quella che sono ed ha notevolmente influenzato i mio lavoro. Attraverso di esso ho imparato a vincere la paura, a trovare il coraggio e la forza di volontà. Tutti questi sono elementi importanti di cui si ha bisogno per performance di lunga durata, e sono gli stessi principi che cerco di trasmettere ai miei studenti attraverso i laboratori, così come mi sono stati trasmessi dalla mia famiglia».
“Se riesci a sognare lo puoi fare”, diceva Walt Disney. Ogni lucido visionario può trasformare un sogno in realtà: in questo momento il mio sogno realizzato si chiama Marina Abramovic, (ride). E lei ha un sogno da realizzare?
«Se guardo indietro alla mia vita, ogni cosa che ho pianificato di fare l’ho fatta. Ho ancora così tante cose da fare, spero di vivere abbastanza a lungo».
“Il latte dei sogni”, titolo della Biennale di Venezia 2022 diretta da Cecilia Alemani, mi fa venire in mente un’altra citazione questa volta di Shakespeare, anch’essa surreale, rivolta a lei: “Voglio vivere in un guscio di noce e sentirmi regina di uno spazio infinito”. Qual è il suo spazio infinito?
«La natura è lo spazio sconfinato di ognuno, specialmente il mio. Cerco di trascorrere più tempo possibile immersa in essa. Nella mia vita, l’amore è molto importante. L’amore è alla base del fare arte. Devi amare l’umanità, devi amare te stessa e devi amare il tuo lavoro. Devi essere amata e devi amare. Per me sono una cosa sola».