Il gruppo ci mette qualche secondo prima di arrivare al centro della grande corte a croce di Sant’Andrea del monumentale Palazzo Fuga. Non sono pochi passi. Per accedere al cortile si è dovuto aggirare un grande lampione abbandonato a terra. Come un avvertimento, un monito. Erbacce, polvere e “sfraveca” direbbe qualcuno del posto. Siamo dentro al Real Albergo dei Poveri, nei pressa dell’enorme Piazza Carlo III di Napoli. Antico edificio carolino che ha attraversato tante epoche, portandone i segni, le ferite ma soprattutto la dignità della Napoli moderna. Si rimane in silenzio ancora qualche istante, prima di disporsi a semicerchio per le foto di rito del Ministro della Cultura del Governo Meloni, Gennaro Sangiuliano, accompagnato dal Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. Accanto al Ministro, il consigliere Luciano Schifone e il direttore generale di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del MIC, Luigi La Rocca, responsabile anche della Soprintendenza speciale per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Con il sindaco invece ci sono la vicesindaca Laura Lieto e il capo di Gabinetto del Comune Maria Grazia Falciatore.
La facciata di questa opera mastodontica voluta da Carlo III di Borbone nel 1749 per accogliere i diseredati del Regno, di grande sapienza e maestria architettonica, nasconde al proprio interno gli esiti di una grande ingenuità antropologica, di una visione solidale rimasta pura utopia. Un fallimento giunto fino a noi. Basta attraversare la scalinata a doppia rampa e il portale che immette nel cortile per rendersene conto. Si rimane attoniti dinanzi a una consunzione, dolorosa e desolante, di ogni elemento architettonico. Lì dove sorgevano laboratori, camere, opifici, spazi ricreativi, ora vi sono soltanto finestroni, mura, intonaci, interni abbandonati. Sembra di essere stati catapultati in un anfiteatro romano, con ambienti e spazi oscuri, pericolanti, con celle simili alle condotte dove sostavano fiere, gladiatori e martiri. Eppure, qualcosa è rimasto, come una forza materica, tipica della Napoli benjaminiana. Ed è proprio questa energia potenziale che fa vibrare e può ispirare gli sforzi e i sogni di chi questo luogo lo conosce e lo attraversa da sempre.
Il ministro Sangiuliano è di queste zone ed è per questo che è alquanto facile allinearsi alle sue parole. Parole programmatiche, a tratti coraggiose, che guardano lontano. «Non siamo eterni», suggerisce ai giornalisti e agli operatori, giunti per ascoltare le sue idee per rimettere in piedi questo luogo così amato quanto dimenticato.
C’è bisogno di rapidità, di intervenire presto. Già per lunedì, 9 gennaio, è previsto un incontro al ministero tra i dirigenti del MIC e i tecnici del comune di Napoli per firmare un protocollo d’intesa. La volontà politica è quella di rigenerare uno dei più grandi edifici storici d’Europa per dar vita a un grande polo culturale, alimentato da anime diverse ma capaci di esprimere esiti coerenti e funzionali alla sede.
Nuovi spazi espositivi per il MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ha nei suoi depositi numerose collezioni di opere che chiedono di essere mostrate e ammirate. La creazione di un centro d’eccellenza, di alta formazione per l’Università Federico II di Napoli, su modello della Scuola Politecnica e delle Scienze di Base a Napoli Est.
Infine, immaginare, nel solco della proposta del precedente ministro della cultura Franceschini e dalla ministra per il Sud, Mara Carfagna, una nuova sede per la prestigiosa Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli. Il progetto probabilmente più difficile da attuare dal punto di vista logistico, politico e culturale. Diffuse sono infatti le resistenze, gli appelli, i richiami alla storicità della sede attuale della Biblioteca Nazionale, inaugurata il 17 maggio 1927 e che occupa i primi tre piani dell’ala nord del Palazzo Reale di Napoli.
Ma il Ministro è stato molto chiaro in tal senso. Si è consapevoli dei rischi, della fragilità e dell’importanza storica di certi reperti inestimabili custoditi nella pancia della BNN: codici miniati medioevali, cinquecentine, manoscritti copti e papiri ercolanesi, il corpus autografo delle opere di Giacomo Leopardi, i testi autografi di san Tommaso d’Aquino, Giambattista Vico, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso e tanti altri.
Così il progetto previsto per l’Albergo dei Poveri vuol essere quello di aprire una sede distaccata della BNN, da dedicare alle nuove acquisizioni di testi e collezioni e dalle funzionalità più moderne, dalle digital humanities alle relazioni con altre biblioteche e altri soggetti del settore. Il modello, ricorda il ministro, «è quello della Bibliothèque Nationale de France», ripensata dall’economista Jacques Attali e organizzata dal Presidente della Repubblica francese François Mitterrand, da cui la prestigioso istituzione ha preso il nome. Certo in un’epoca di costante e apparentemente inarrestabile smaterializzazione, non solo architettonica e sociale, l’impresa di riattivare uno spazio di 103mila metri quadrati abbandonato da anni può apparire audace, ai limiti del visionario. Ma tant’è.
Si vuole dunque ricreare tra questi corridoi e queste stanze buie e abbandonate una miscela di culture archeologiche e tecnologiche, di memoria storica e materiale, di voci e visioni politiche anche distanti ma che vogliono caricarsi di quella visione, di quel sogno non tanto assistenziale quanto sociale, produttivo e ricreativo, che il re Don Carlo aveva in mente e che i suoi successori non ebbero la forza o le condizioni adatte per realizzarlo. Sarà il tempo ma soprattutto le risorse messe a disposizione (secondo alcuni i 100 milioni previsti dal Pnrr sono solo un quarto dei fondi necessari per ristrutturare l’intero edificio) a selezionare i progetti migliori e a stabilire, come sempre, chi avrà avuto ragione in questa impresa.
Rimane tuttavia l’obbligo morale e storico di riportare alla luce della ribalta questo luogo, questo capolavoro moderno, pregno di storia quanto afflitto da tanta malinconia. E sarà un banco di prova delle capacità e dell’affidabilità di questa classe politica attuale, chiamata in modo trasversale, a rispondere alle esigenze, le sfide che la storia e il presente pongono da sempre.
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