Il Senato ha approvato in via definitiva il decreto Asset 2023 che, tra i punti in programma, prevedeva anche un emendamento presentato da Luca De Carlo, senatore Fratelli d’Italia e presidente della IX Commissione, riferita a Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare. L’emendamento introduce una modifica al Codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 149, comma 1, lettera C) per eliminare, in sostanza, il doppio vincolo paesaggistico sugli interventi selvicolturali previsto per alcune aree boschive italiane.
Lo scopo dichiarato dell’emendamento era quello di «Rilanciare l’industria del legno» aumentando la concorrenza sui mercati esteri e accrescendo l’approvvigionamento interno di legno, alleggerendo al contempo il carico burocratico legato alla gestione delle foreste. Per Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde, invece, si tratterebbe di «Golpe contro la natura», che rischia seriamente di «Distruggere i pilastri della tutela della biodiversità», violando «L’articolo 9 della Costituzione, che pone in capo allo Stato la tutela della biodiversità».
L’articolo 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 tutela per legge quelle aree che in virtù di certe caratteristiche sono soggette del vincolo paesaggistico. Tra queste aree rientrano tutti i territori boschivi, quindi tutti i boschi e le foreste d’Italia. In base all’articolo 136, inoltre, nelle “aree di notevole interesse pubblico” sono compresi anche i territori boschivi. Con l’emendamento, le pratiche selvicolturali saranno considerate tagli colturali ai sensi di entrambi i vincoli paesaggistici (articolo 142 e articolo 136) e pertanto non necessiteranno più di alcuna autorizzazione paesaggistica.
Insomma, cui prodest, a chi giova? Certamente alla filiera economica del legno. «Si vogliono tagliare più alberi in Italia per evitare l’importazione di pellet e biomassa legnosa da altri Paesi, ma il problema è che nel nostro Paese se ne brucia troppa», ha spiegato Valentina Venturi, portavoce del GUFI – Gruppo Unitario per le foreste italiane, a Il Fatto Quotidiano. L’Italia è il maggior consumatore di pellet in Europa, in conseguenza degli ingenti incentivi che sono stati dati negli anni alle stufe a legna e pellet. Ogni anno, nelle nostre case, se ne bruciano dai 3 ai 4 milioni di tonnellate ma circa il 90% viene importato. Per questo, in passato, le sigle legate all’economia del legno e all’energia ricavata da biomasse legnose, tra cui AIEL – Associazione Italiana Energie Agroforestali, si sono opposte al doppio vincolo paesaggistico. Proprio grazie a questo vincolo, per esempio, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Siena, nel 2020, riuscì a fermare i progetti di taglio boschivo sul Monte Amiata.
«Pensiamo all’area del castello Monte Massi, in Toscana, contornato da monti, olivi secolari e boschi, dipinto da Simone Martini nel 1300», ha continuato Venturi. «È stata perimetrata dal ministero della Cultura attraverso uno specifico decreto. Ogni modifica degli edifici deve passare l’esame del sovrintendente, che però non potrà più pronunciarsi sul taglio dei boschi. Da oggi gli unici soggetti politici in grado di decidere sul destino delle foreste italiane saranno le regioni». E dunque, quale sarà il prossimo passo? Affidare la gestione delle aree boschive a privati?
Con una mano si ventila lo spauracchio dell’onnipresente burocrazia e con l’altra si indeboliscono quei processi di controllo che, in certi casi, necessitano proprio di quelle che superficialmente sono considerate “lungaggini”. Insomma, è il Belpaese del doppio pensiero. Da un lato, ci si batte il petto per il made in Italy e per la protezione delle filiere produttive nostrane, dall’altro si va a consumare proprio la tipicità del nostro territorio.
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