Sabato 3 aprile, 22 mummie reali – 18 re e 4 regine – sono partite dal Museo egiziano del Cairo, in piazza Tahrir, per arrivare fino alla loro futura destinazione, il nuovo Museo nazionale della Civiltà egiziana, con una parata multimilionaria trasmessa in diretta mondiale. I corpi sono stati trasportati dentro capsule di azoto senza ossigeno per mantenere le condizioni di conservazione ideale, a loro volta poste all’interno di veicoli ammortizzati costruiti a immagine delle barche faraoniche usate per condurre gli antichi reali alle loro tombe. Poco dopo l’arrivo dei sarcofagi, è seguito quello del presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, accompagnato dai suoi ministri, dal segretario generale dell’Organizzazione mondiale del Turismo e dalla direttrice dell’Unesco Audrey Azoulay. La costruzione del museo è stata decisa come parte di una serie di investimenti stanziati dal presidente per rimettere al centro dell’attenzione internazionale l’eredità culturale dell’antico Egitto e, quindi, per riconquistare le quote del turismo perse negli ultimi anni, in particolare dopo gli scontri del 2011.
La processione, organizzata in ordine cronologico, è iniziata con Seqenenre Taa, faraone nel XVI secolo a.C., ed è terminata con Ramses IX, faraone nel XII secolo. I faraoni più famosi che hanno partecipato sono stati Ramses II, che ha guidato il Nuovo Regno nel XIII secolo a.C., durante il suo periodo di maggior splendore, per 67 anni, e la regina Hatshepsut, il secondo faraone femmina ad aver governato nell’antico Egitto, durante il XV secolo. Tutte le mummie sono state originariamente trovate nel territorio della Valle dei Re e della vicina Deir el-Bahari, due secoli fa. Secondo le parole della first lady egiziana Entissar Amer su Facebook, lo processione «Ha espresso la grandezza di un’antica civiltà che si è dimostrata simbolo di umanità, e che ancora, con un patrimonio unico e diversificato, contribuisce al suo progresso e alla sua prosperità».
La parata, prevedibilmente e spassosamente kitsch, si è dimostrata, oltre che un magnifico spettacolo di intrattenimento, anche uno dei tentativi del presidente al-Sisi per attirare su di sé e sul suo governo l’attenzione internazionale attraverso operazioni di soft power – in questo caso, per esempio, facendo leva sulla popolarità dell’antica cultura egizia nel mondo.
Senza nulla togliere al fondamentale sostegno economico dimostrato da al-Sisi per la rinascita del turismo nel Paese, puntare i riflettori su determinati eventi meritevoli è anche un mezzo per distoglierla da altri eventi critici, letteralmente. Le riprese della parata sono state infatti orchestrate per bloccare le vedute sulle comunità (evidentemente impoverite) che vivono in quelle stesse strade, con striscioni, bandiere e barricate temporanee. «C’è la tendenza a voler mostrare un’immagine migliore invece di provare a sistemare la situazione reale», ha dichiarato l’urbanista Ahmed Zaazaa al New York Times. «Il governo dice di star emanando riforme, ma la stragrande maggioranza di abitanti che vive nei quartieri popolari rimane esclusa».
Secondo Il manifesto, «Il 30% degli egiziani vive sotto la soglia di povertà (45 dollari al mese), un altro 30% poco sopra. I tagli ai sussidi per i beni di prima necessità – dall’elettricità ai prodotti alimentari – sono stati in questi anni al centro di battaglie andate ad affievolirsi tra chi protestava nelle strade e il governo, che ha chiesto sacrifici per il bene del paese mentre spendeva miliardi di dollari in armi (nell’anno fiscale 2019-2020 il budget per la difesa era pari a 66,3 miliardi di dollari, quasi triplicato dai 25 del 2010-2011». Alla situazione di precarietà economica generale si aggiungono anche le preoccupanti censure imposte sulla libertà di pensiero e di parola, con nuove prigioni costruite per contenere decine di migliaia di prigionieri politici – attivisti, avvocati, giornalisti, artisti.
Lo spettacolo fastoso della parata, pur nella sua magnificenza, stona evidentemente con la condizione della popolazione e con altri episodi che hanno riguardato il Paese nelle ultime settimane: dal blocco di Suez, all’ennesimo collasso di un palazzo al Cairo (probabilmente per assenza di manutenzione), fino all’incidente ferroviario che ha causato la morte di decine di persone a Sohag, nell’Alto Egitto.
Alcuni commenti ironici sui social hanno addirittura ricordato il mito della “maledizione dei faraoni”, secondo il quale esporre i sarcofagi sarebbe un gesto offensivo che potrebbe attirare la loro ira sul popolo, provocando disastri. L’esposizione delle antiche mummie egizie è stata infatti al centro di un acceso dibattito etico: secondo BBC News, molti professori musulmani si sono espressi nel tempo a favore della conservazione dei reperti nel loro luogo d’origine, per evitare eventuali e spiacevoli ripercussioni. Seguendo questa stessa linea di pensiero, nel 1980, il presidente Anwar Sadat aveva ordinato la chiusura della Stanza reale della mummia al Museo egizio, in quanto luogo dissacrante, e la (ri)sepoltura delle stesse. Desiderio che, evidentemente, non è mai stato esaudito.
Si è spento a 89 anni Gian Paolo Barbieri: nel corso della sua lunga carriera, ha trasformato la fotografia di…
La prima volta che Rivoli aprì i battenti, il Muro di Berlino non era ancora caduto. Molti i fatti, le…
John Galliano lascia Martin Margiela: ripercorriamo un rapporto decennale, costellato di successi e rivoluzioni nella moda, in attesa dell’asta di…
In occasione della sua mostra al Contemporary Cluster di Roma, abbiamo raggiunto Maurizio Mochetti per farci raccontare la sua idea…
Dopo un lungo periodo di turbolenze, tra dimissioni, censure e ingerenze della politica, documenta apre un nuovo capitolo con la…
Il museo MASI di Lugano presenta le mostre del programma espositivo del 2025: dal surrealismo contemporaneo di Louisa Gagliardi al…
Visualizza commenti
....un ennesima vergogna per un popolo oppresso