Tra il 1940 e il 1944, nel Campo di Concentramento di Auschwitz, in Polonia, furono sterminati più di un milione di prigionieri. Oggi, il sito, dichiarato Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nel 1979, chiamato Memorial and Museum Auschwitz Birkenau, è frequentato da visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Il suo ruolo di testimonianza di un passato oscuro è fondamentale, ancora di più in questo momento così incerto e irrazionale, ma molte prove di quella storia stanno scomparendo, sotto il peso del tempo e del turismo di massa.
I capelli, strappati dalle vittime come materiale tessile, sono considerati un resti umano sacro, che non può essere fotografato e che, non soggetto a restauro, sta diventando polvere. Rimangono ancora più di 100mila scarpe appartenute ai detenuti, circa 80mila delle quali accatastate in enormi mucchi in esposizione in un ambiente dove i visitatori si succedono giorno dopo giorno. Molte sono deformate, i loro colori originali stanno sbiadendo, i lacci si sono disintegrati. In un certo senso, questo disfacimento naturale sembra una testimonianza ancora più forte della folle brutalità imposta dagli uomini. Ma dal mese scorso è stato avviato un laboratorio di conservazione dedicato proprio a questi drammatici residui di vite troncate. Il progetto, da 450mila euro, è stato finanziato dalla Fondazione Auschwitz-Birkenau, di cui la Germania è stata un donatore chiave.
«Le scarpe dei bambini sono l’oggetto più commovente per me, non c’è tragedia più grande», ha detto ad AP Mirosław Maciaszczyk, restauratore al lavoro nei laboratori di conservazione del museo di Auschwitz, che è gestito dallo Stato Polacco. Maciaszczyk ha spiegato come gli operatori non perdano mai di vista la tragedia umana che si nasconde dietro questi oggetti, anche se è necessario concentrarsi solo sugli aspetti tecnici del loro lavoro. Ma a volte l’emozione è troppa e non è raro che alcuni chiedano nuovi incarichi.
Elżbieta Cajzer, direttrice delle Collezioni del Museo, ha affermato che il lavoro di conservazione rivela sempre alcuni dettagli di coloro che sono stati uccisi nel campo. Le valigie, in particolare, possono offrire indizi importanti, perché portano nomi e indirizzi. Ci si aspetta che anche il lavoro sulle scarpe per bambini possa svelare nuove informazioni personali. Tra le scarpe, ne è stata ritrovata anche una da donna, con una banconota da 100 lire italiane nascosta nel tacco e con impresso il nome Ranzini, che era un calzaturiero di Trieste. La proprietaria era dunque italiana, probabilmente, ma di lei non si sa nient’altro.
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