Che Voglia, tra Tiziano e Caravaggio: polemica per il video di Andrea Sannino al Museo di Capodimonte

di - 23 Febbraio 2021

Un’atmosfera magica, da sogno, romantica, dolce, sospesa. Questo è il tenore della maggior parte dei circa 700 commenti lasciati in calce al videoclip di Voglia, ultimo singolo di Andrea Sannino, pubblicato il 21 febbraio 2021 su Youtube. Certo, fa il proprio dovere il timbro suadente del cantante neomelodico, assurto alla ribalta nazionale con i 45 milioni di visualizzazioni di Abbracciame, canzone ascoltatissima durante il lockdown, anche se pubblicata, in realtà, già nel 2015. Fondamentale anche l’andamento ritmico vivace ma pacato, morbido in certi punti, cristallino in altri, sempre un po’ citazionista della grande Neapolitan Power, composto e arrangiato dal pianista Mauro Spenillo e dal chitarrista Pippo Seno. Ma un ruolo importante nella costruzione del contesto – visivo, sonoro e narrativo – la riveste anche la collezione del Museo di Capodimonte, che compare come un preziosissimo contrappunto alle spalle di Andrea Sannino e dell’attrice e modella Giovanna Verzieri. Il video girato da Luciano Filangieri, con la sceneggiatura di Luca Delgado, è infatti ambientato nelle sale del museo di Napoli, momentaneamente chiuse al pubblico, a seguito del passaggio della Campania in Zona Arancione.

E la cosa non è andata giù. No, non la chiusura dei musei – o almeno non solo – ma l’utilizzo non conforme delle grandi opere del passato. Sulla vicenda si è schierato Nicola Spinosa, già Soprintendente a Napoli e direttore di Capodimonte, che ha alzato il tiro attaccando il suo omologo attuale, Sylvain Bellenger, reo di aver accordato il permesso a girare. «Sannino che canta davanti a Caravaggio non mi sorprende, è solo una nuova puntata di un programma già visto, dalla mostra di Gemito degna della Rinascente a quella di Luca Giordano, pittore solare sacrificato in un allestimento oscuro», ha dichiarato Spinosa al Corriere del Mezzogiorno. «Stavolta poi far cantare un neomelodico in quelle sale è assolutamente inutile: non serve a Sannino, che è già famoso, e non serve certamente a Capodimonte», ha continuato l’ex direttore, che al museo ha legato gran parte della sua vita e della sua carriera.

A tuonare contro il video, Tomaso Montanari, tra i più influenti storici dell’arte, docente universitario, presidente del Comitato tecnico scientifico delle Belle arti del Mibac e membro del consiglio superiore dei Beni culturali. «Lo chiarisce il Codice dei Beni culturali: i beni non si possono usare per fini incompatibili con il loro carattere storico artistico», ha spiegato Montanari, che intervenne anche sulla querelle di Chiara Ferragni alle Gallerie degli Uffizi.

In questo caso, chiaramente, il discorso parte da presupposti diversi. Quella volta, infatti, si trattava di una fotografia pubblicata dalla stessa Ferragni, direttamente dal backstage di uno shooting per Vogue, con la Primavera del Botticelli a fare da sfondo. Gli Uffizi, da parte loro, salirono sull’onda social e condivisero un post in cui, in maniera maldestra anche se non totalmente campata in aria, si mettevano in dialogo i canoni estetici delle diverse epoche. E bastò il suono della notifica a scatenare l’inferno.

Questa volta non c’entrano i social e il loro spirito. Se quella scenografia era calibrata al millimetro per rappresentare una “istantanea di vita reale”, volendo restituire l’hic et nunc dell’immediatezza casuale e un po’ sbadata di una fashion-material girl in un luogo della cultura, in questo caso si tratta esplicitamente di un prodotto di artificio, più simile agli episodi di Mahmood al Museo Egizio di Torino e di Beyoncé e Jay-Z al Louvre di Parigi. Si tratta sempre di lavori della creatività, della tecnica, del calcolo e di altre coincidenze, impostati sul principio della meraviglia, per raggiungere un livello fictional di gradevolezza, di confort percettivo. Ma nel caso dei videoclip il contesto è strumentale a una narrazione che va oltre la forte presenza del protagonista. Non camera dell’eco per l’ego, ma costruzione scenografica in cui i fruitori, come accade in un teatro, possono rivedere e ricondividere la similitudine tra se stessi e la comunità. Lecito che una situazione del genere, così dinamica, pulsante e riferita alla stretta attualità, possa replicarsi in un museo – o nelle sue prossimità virtuali -, luogo tradizionalmente deputato alla conservazione della storia? A quanto pare sì, considerando la svolta “identitaria” assunta negli ultimi anni dai musei, le cui attività, anche a livello ministeriale, sono state ripensate in funzione di un ruolo propositivo nei confronti del territorio della contemporaneità, con tutti i rischi e le potenzialità che una posizione del genere può comportare.

Nelle inquadrature del video di Voglia, scolasticamente rallentate e poco invasive nei confronti del contesto, evitando coreografie eccessive e, anzi, con una certa grazia nei movimenti, si indugia languidamente ma senza volgarismi sui particolari dei capolavori della Collezione Farnese, per isolare chirurgicamente, dal dramma che alcune opere pure esprimono, il romanticismo dei famosi corpi modellati dai campionissimi del settore, quali Tiziano, Caravaggio e Ribera. In effetti, il testo della canzone parla chiaro: «Voglia ‘e fa ammore cu’tte / voglia, che voglia, pecchè? / sempe sta smania ‘e capi / ma ‘o core vó accussi». L’amore è un sentimento rarefatto e poetico, certo, ma la voglia può andare oltre e diventare qualcosa di più sensuale, difficile da capire e da interpretare come un sogno languoroso, sfumato in un dormiveglia romantico o anche in un incontro fortuito, magari in un museo, toh, il luogo che meno ti aspetti, mentre i commenti al video, nel frattempo delle polemiche, continuano a fluire e condividere, citando la voce di Sannino e «quelle opere molto belle».

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