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La prima partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia della Namibia sarà da ricordare ma non per i motivi che si potevano sperare: a pochi giorni dall’apertura della 59ma edizione, infatti, la mecenate e imprenditrice culturale Monica Cembrola e la compagnia di viaggi di lusso Abercrombie and Kent hanno deciso di ritirare il proprio sostegno al Padiglione. Il terremoto segue una petizione online pubblicata a marzo e attualmente firmata da 392 persone, la maggior parte provenienti dalla comunità artistica della Namibia, nella quale si paventavano serie «Preoccupazioni riguardanti la rappresentazione delle arti visive namibiane contemporanee al Padiglione della Namibia alla Biennale di Venezia 2022».
«La Biennale non è una fiera d’arte commerciale o un’esposizione turistica, ma un evento di grande prestigio simbolico e culturale, con più di cento anni di storia», si legge nel testo della petizione. «Tuttavia, mentre articoli recenti hanno annunciato il debutto del Padiglione namibiano, molti nella comunità artistica contemporanea della Namibia ritengono che sia un debutto poco concettualizzato e inappropriato, che ha una visione antiquata e problematica della Namibia e dell’arte namibiana», continua.
Intitolato “The Lone Stone Men of the Desert” e curato dall’italiano Marco Furio Ferrario – strategic consultant impegnato nel ramo turistico e del quale non abbiamo riscontrato esperienze pregresse nel settore dell’arte – il Padiglione presenta una serie di sculture diffuse a cielo aperto sull’Isola della Certosa, realizzate da RENN, pseudonimo dietro il quale si cela un artista dall’identità ignota. Di questi si conosce solo l’età, 64 anni, la città di nascita, Johannesburg, e nessuna partecipazione ad altre mostre o progetti artistici di rilievo. Insomma, sembra una storia un po’ dramedy un po’ mockumentary, perfetta per una produzione Netflix.
È stata però la stessa Cembrola a spiegare qualche retroscena: «Dopo essere salita a bordo, il curatore non ha voluto condividere con me l’identità dell’artista», ha detto ad Artnet. «Non mi è stato nemmeno detto che lui [RENN] non fosse un artista. La scena artistica namibiana merita di meglio. La petizione mi ha mostrato che l’artista non rappresentava la Namibia ma io voglio aiutare gli artisti emergenti africani. Ho deciso di ritirarmi per questi motivi», ha continuato la patrocinatrice del Padiglione, titolare della Monica Cembrola For Art Foundation, sulle cui attività però si trovano poche notizie in rete: il sito della Fondazione è fermo al 2019. Ma è stata proprio Cembrola a portare la sponsorizzazione di Abercrombie and Kent, che dovrebbe aver messo sul piatto più di 97mila euro per supportare il progetto del Padiglione della Namibia alla Biennale di Venezia ma che ha risolto il suo accordo, a causa della petizione o meglio dei motivi che hanno portato alla petizione.
Nel testo pubblicato su Change.org, l’iniziativa di Ferrario viene criticata aspramente e punto per punto, sostenendo non solo come RENN sia noto principalmente nell’industria del turismo, «Disconnesso dall’arte contemporanea e dalla scena culturale della Namibia», ma anche che il progetto “The Lone Stone Men of the Desert” coinvolga idee razziste, stereotipate e colonialiste sui popoli indigeni.
Non ha certo giovato a fare chiarezza il Ministero della Cultura della Namibia, che prima ha supportato il Padiglione, quindi, a marzo, ha avvisato la Biennale di Venezia che avrebbe ritirato il suo sostegno al progetto ma, infine, ha revocato la decisione. La grande manifestazione, attesa da tutto il mondo dell’arte, aprirà dal 20 aprile, con la tradizionale vernice riservata agli addetti ai lavori, ma il primo padiglione della Namibia è ancora avvolto dall’incertezza.