Manifesti si affiggono e manifesti si distruggono, si degradano per gli agenti atmosferici, si sovrappongono ad altri manifesti in campagne pubblicitarie ridondanti. Oppure si alterano proditoriamente per sovvertirne il messaggio e, in questo caso, vuol dire che si è attivata una reazione, nel bene e nel male. Succede a Bologna, dove dei manifesti a favore dello stop alla guerra in Palestina e con la scritta FREE GAZA, realizzati nell’ambito di una collaborazione tra il progetto di arte urbana CHEAP e l’artista Johanna Toruño sono stati vandalizzati da ignoti.
Nata nel 1989 a El Salvador e trasferitasi negli Stati Uniti nel 1999 per raggiungere la madre, che già era fuggita a seguito della Guerra Civile salvadoregna, Johanna Toruño nel 2016 ha iniziato a creare poster su tematiche queer e gender, incollandoli in giro per New York. Nacque così Unapologetic Street Series, un progetto che da anni utilizza le strade come piattaforma pubblica. Speaker TED e docente presso varie università statunitensi, come Stanford, Princeton e Columbia, Toruño vuole veicolare forti messaggi politici e sociali per il superamento degli schemi eteronormativi, così da risemantizzare lo spazio pubblico in termini di liberazione collettiva. Le sue immagini e le sue dichiarazioni sono spesso accompagnate da fiori lussureggianti, a celebrare le comunità queer, la classe lavoratrice e le persone con background migratorio. Attualmente vive e lavora a Los Angeles con la sua compagna e due cani.
Invitata da CHEAP in residenza a Bologna, l’artista, oltre a una serie di manifesti transfemministi e queer, ha lavorato e affisso, insieme al collettivo, otto manifesti che compongono la scritta FREE GAZA, «In completa solidarietà con tutte le persone nell’intera Palestina e per sfidare i poteri complici dell’apartheid e del genocidio in corso», spiegava Toruño un post su Instagram. Ma dopo poco, qualche anonimo ha cancellato la scritta GAZA e ha tentato di crossare la scritta FREE: «Il gesto ha un impatto violento e in tanti scrivono a CHEAP per segnalare la cosa, condividendo il senso di aggressione che trasmette l’atto di censura», spiegano da CHEAP, che decide di rimandare in stampa i poster e ripristinare la scritta.
E non è finita qui: per le strade, certi processi si avvicendano rapidamente. E così, quando i nuovi manifesti vengono preparati per l’affissione alle bacheche, si nota con sorpresa un ulteriore intervento: qualcuno ha riscritto GAZA, in bianco, sovrapponendosi al layer nero con cui erano state crossate le lettere. «La decisione è quella di non affiggere i poster nuovi: questo gesto di conflitto e cura sembra la cosa migliore che la città potesse augurarsi», continuano da CHEAP. «In altre occasioni la collettività si è presa cura dei manifesti di CHEAP – anche semplicemente cancellando scritte – oppure staccando messaggi pubblicitari attaccati sopra con lo scotch…sicuramente questo è il caso più eclatante che ci è capitato come significato politico di riappropriazione e sentire collettivo delle bacheche che utilizziamo».
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