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Come sta cambiando la capitale del Kosovo? Arte, architettura e politica secondo il sindaco Përparim Rama
Attualità
Demanio Marittimo KM-278, festival organizzato da Pippo Ciorra e Cristiana Colli in riva all’Adriatico, ha visto quest’anno artisti, architetti, curatori, critici e storici confrontarsi sull’urgenza di valorizzare e preservare quello che resta dei luoghi e delle icone. Tra i 15 incontri a tema ROVINE&RIPARI, Orizzonte Kosovo si è rivelato prezioso per mettere a fuoco la scena culturale contemporanea dei Balcani. Il critico Alex Fisher, i curatori Leutrim Fishekqiu e Vatra Abrashi e gli artisti Sislej Xhafa, Artan Hajrullahu, Blerta Hashani hanno ritratto uno Stato che esiste ufficialmente da soli 16 anni e che, rinato dopo la guerra, ha saputo esprimere attraverso l’arte sia la sua sofferenza che la sua ricca storia. L’ambasciatrice Lendita Haxhitasim ha spiegato quanto «l’arte sia uno strumento diplomatico, il migliore per rappresentare uno Stato» esaltando il ruolo del fare artistico: «raccontare la diplomazia culturale non è facile, ma ci riescono benissimo gli artisti con le loro opere. Sono loro i migliori ambasciatori». In questa occasione ci siamo confrontati con Përparim Rama, sindaco di Prishtina, architetto e curatore del padiglione kosovaro alla Biennale di Architettura di Venezia del 2012, confrontandoci con lui sui cambiamenti che sta attraversando dal punto di vista architettonico e culturale la capitale.
In che misura essere architetto ha influenzato il suo lavoro di sindaco?
«Una formazione da architetto fornisce le giuste basi per conoscere necessità e potenzialità di un sistema complesso come la città e la sua comunità. Ho imparato a individuare gli interventi utili a dare ai cittadini dei luoghi che possano farli crescere, sentirsi coinvolti e diventare parte attiva dello sviluppo della capitale: piattaforme per creare fiducia nel presente, nel futuro e nel posto in cui vivono. Spazi pubblici liberi, inclusivi, sicuri. Per me, democrazia significa creare ambienti nei quali le persone siano portate spontaneamente a comportarsi in modo virtuoso. L’architettura stessa non dovrebbe essere imposta dall’alto, ma messa al servizio della libertà di movimento e della vita dei singoli.»
Quanto è stato importante Manifesta 14 per la nuova Prishtina?
«Era uno degli eventi più attesi del 2022. Ci siamo chiesti cosa potesse fare Prishtina per una biennale d’arte itinerante come Manifesta e abbiamo scelto di aprire l’intera città all’evento, trasfigurandola in museo. Ne è scaturita un’intensa riflessione su cosa sia un museo, a cosa serva e perché sia importante riscoprire il potere della condivisione dello spazio pubblico. Intervenire con interazioni artistiche porta energia al prossimo. Quello che creiamo come architetti, come artisti, come politici e come persone, ha un impatto positivo o negativo sugli altri: non c’è neutralità. Ogni nostro gesto architettonico e artistico è politico, perché parla di quale tipo di società vogliamo costruire.»
L’impatto sulla vita delle persone era anche il tema del padiglione The Filigree Maker che ha curato per la Biennale 2012.
«È stato un incredibile esperimento sociale. Si basava sul concetto di “common grounds”. Cosa sono, come ci influenzano? I visitatori erano invitati a guardare immagini di luoghi urbani, per rispondere a: how does this picture make you feel? La scelta era tra 6 emozioni, 3 positive e 3 negative. Un luogo può instillare sentimenti di felicità in alcuni e rendere qualcun altro triste, o arrabbiato, ma se questo genera la stessa reazione in milioni di persone, si inizia a notare un “pattern”. Abbiamo visto, ad esempio, che tutti gli edifici del dopoguerra, intendo la guerra recente, si legavano a sensazioni negative, mentre i più antichi o tradizionali quasi sempre alle positive.»
E questo dove vi ha condotto?
«Il messaggio per i leader politici, ma non solo, era quello di ricordarsi di essere sensibili e capire quale impatto abbiano le loro scelte sulla vita delle masse. Se ci si propone di migliorare la società si deve verificare, a cose fatte, se sia davvero questo l’esito ottenuto.»
Durante il talk, ha citato il Gërmia Multicultural Center di Kengo Kuma e il Tulltorja Art-Tek. Nei progetti di rigenerazione urbana come vi approcciate al patrimonio dissonante esistente, alle architetture dal passato controverso?
«Credo si debba guardare a quella dei nostri periodi bui non più come “architettura dell’era comunista” ma solo come “architettura”. I casi citati erano entrambi di quel periodo. Re-immaginarne la funzione li ha trasformati. Il primo è diventato una Concert Hall, il secondo è passato da fabbrica a Centro per le arti e la tecnologia.»
Può dirci di più sul pensiero che ha trainato questi progetti?
«Dev’esserci onestà. I segni del tempo, anche negativi, restando visibili, testimoniano quello che non dobbiamo né dimenticare né ripetere. Vanno compresi i perché di quei luoghi – perché erano stati costruiti in tal modo, quale fosse il loro proposito, se lo avevano ottenuto e se tuttora rispondano ad esso – per trovare nelle connotazioni controverse un potenziale di cambiamento. Va usata e ribaltata la loro energia negativa, come nel tai-chi: si tramuta l’attacco del nemico in una forza opposta. Così si può restaurare o riusare l’esistente con un linguaggio contemporaneo, sostenibile, positivo.»
Cosa vede nel futuro di Prishtina?
«La capitale si rinnova e si apre al mondo: offriamo sempre nuovi modi per connettersi a livello globale, creando un dialogo tra comunità locale e internazionale con progetti culturali come Manifesta. È importante comunicare e connetterci gli uni agli altri. Per questo la “walkable city” è la città del futuro: favorisce incontri, scambi, diventa città sociale. E tutti potremo avere un posto in essa, dai bambini agli anziani.»
In conclusione?
«Come sindaci dobbiamo incoraggiare l’empowerment dei nostri cittadini e far capire loro che sì, possono sperimentare, avere fiducia nelle proprie capacità. E che è insieme a loro che realizzeremo una società libera, aperta e inclusiva.»