Categorie: Attualità

Corsi, ricorsi storici e speranze della Biblioteca Nazionale di Napoli

di - 24 Giugno 2022

Anche quando di smaterializzazione della realtà non si faceva esperienza quotidiana sui Social Network, i libri hanno sempre fatto parte di una specifica classe di oggetti “ubiqui” per loro natura, da un lato adatti allo spostamento, dall’altro tendenti all’agglomerazione (come poi è il percorso della conoscenza e della sua trasmissione). Composto da circa 1.800.000 volumi a stampa, oltre 8.300 testate di periodici, 19mila manoscritti, 4.563 incunaboli e 1.792 papiri ercolanesi, nel fondo della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli sono confluite, nel corso dei secoli e seguendo eventi storici di capitale importanza, raccolte provenienti da varie altre biblioteche, sia pubbliche che private, di istituti religiosi, di nobili decaduti e di casate regnanti.

Corsi e ricorsi storici

Il primo nucleo si formò nel 1784, quando, in applicazione di un regio decreto, si iniziarono a collocare nel Palazzo degli Studi, attualmente sede del Museo Archeologico, le raccolte librarie Farnesiana e Palatina, prima conservate nel palazzo di Capodimonte. A questo corpus si unì quello della biblioteca dei Gesuiti, che Ferdinando IV di Borbone aveva espulso dal Regno già nel 1767. I Padri se ne andarono certamente controvoglia, portando solo lo stretto necessario e bagagli leggeri: «Essendogli stata intimata la partenza, si misero in processione con un Crocefisso alla mano dandoci l’ultimo addio», scriveva un commentatore all’epoca. I libri, insomma, rimasero lì.

Dunque, fu sotto il regno di Ferdinando IV che la Reale Biblioteca di Napoli aprì ufficialmente al pubblico, il 13 gennaio 1804. Ben prima della “Riforma Franceschini”, il primo direttore fu un personaggio internazionale di chiara fama, l’umanista spagnolo e gesuita Juan Andrés, che fu nominato nel 1806 però da Giuseppe Bonaparte, subentrato momentaneamente a Ferdinando IV sulla scia delle famose imprese di Napoleone. Nel 1816, come a suggellare l’inizio della Restaurazione con il marchio della toponomastica, fu rinominata Reale Biblioteca Borbonica, giusto per non sbagliare dinastia. Nel 1860, con decreto n. 130 del 17 ottobre, esattamente quattro mesi prima della resa di Francesco II a Garibaldi, avvenuta il 17 febbraio 1861, fu dichiarata Biblioteca Nazionale.

Poi, alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando l’altro re, Vittorio Emanuele III, decise di concedere graziosamente allo Stato i suoi Palazzi Reali, venne stabilito il trasferimento della Biblioteca negli spazi del Palazzo affacciato su piazza Plebiscito, a ridosso del lungomare, in pieno centro cittadino, tra i caffè dei letterati e degli intellettuali. L’iniziativa fu presa dall’energico Benedetto Croce, che in quegli anni ricopriva l’incarico di Ministro dell’Istruzione Pubblica. In occasione di questo trasferimento dai fortissimi connotati simbolici, furono accorpate anche altre raccolte come, tra le varie, quella della biblioteca del Museo di San Martino e quella della biblioteca Brancacciana, costituita a Roma, nella prima metà del XVII secolo, dal cardinale Francesco Maria Brancaccio e traslata dal 1690 a Napoli, nel complesso di Sant’Angelo a Nilo.

Attualmente, la Biblioteca Nazionale occupa i primi tre piani dell’ala nordest di Palazzo Reale, che si identifica con gli ampliamenti realizzati da Ferdinando Fuga nel 1758 circa. E visto che la storia chiude sempre il cerchio, la recente proposta del Ministero della Cultura è spostare la biblioteca negli spazi del Real Albergo dei Poveri, progettato proprio da Fuga su volere di Carlo III di Borbone, per accogliere le masse di poveri e di orfani e avviarle all’apprendimento di una professione. Giocando con i cortocircuiti storici, un Carlo III del 2022 potrebbe dire: “Il popolo ha fame? Dategli dei libri”.

Il sogno filantropico del Real Albergo dei Poveri si realizzò, però, solo in parte, la struttura rimase incompiuta, i lavori di costruzione si fermarono nel 1819 e questo destino parziale, paradossale ma innegabilmente poetico per un edificio dalla colossale mole barocca e che nel ‘700 era uno più grandi al mondo, permane ancora oggi. In completo disuso dal 1981, le sue 430 stanze al momento sono senza funzione o utilità ma interessate periodicamente da lavori di restauro promossi dal Comune di Napoli, proprietario del bene. Scandita da più ordini di finestre – principalmente sbarrate – la sua facciata si allunga silenziosa su circa 350 metri di via Foria, delimitando l’orizzonte di un’area di marginalità sociale, culturale ed economica, innestata nelle profondità di una città in costante squilibrio tra il pieno e il vuoto. Per certi versi, tanto idealmente quanto strategicamente, il caso del Real Albergo sembra assomigliare a quello dell’ex Italsider di Bagnoli, un altro vuoto non-newtoniano, viscoso di interessi, relazioni e vicende, scavato nel fianco della città e fronte mare.

In “pieno” centro insiste invece la presenza della Biblioteca Nazionale, con il Golfo a portata di sguardo, di olfatto e di passo. La sue sale rappresentano un caso unico di atmosfera, nei pressi delle sempre sovraffollate vie comprese tra piazza Plebiscito e via Roma, che siano attraversate dai manipoli militari spagnoli che diedero il nome ai Quartieri o dalle frotte di turisti che vagolano tra una pizza fritta e l’altra. Facilmente raggiungibile grazie alla fortunatissima coincidenza di metropolitane e funicolari, la Biblioteca soffre però a causa della siccità di personale: causa pensionamenti e mancato ricambio, dai 131 dipendenti del 2019 si è passati ai 73 attuali, a fronte di otto nuove assunzioni previste per luglio.

I dualismi della Biblioteca e le riflessioni della città

Per il Ministro della Cultura Dario Franceschini, lo spostamento è un colpo da due piccioni: migliorare la fruizione della Biblioteca con ambienti rimodernati e risolvere l’incompiuto del Real Albergo, 100mila metri quadrati di superficie (e altri 24mila all’aperto) sui quali gravitano i 100 milioni del PNRR da spendere a tutti i costi entro il 2026. Proseguendo l’effetto domino, si libererebbero così degli spazi in pieno centro, che ricadrebbero sotto l’egida del Museo di Palazzo Reale (che è un museo autonomo del MiC), usabilissimi per mostre, eventi, cerimonie, celebrazioni e simili.

Per il comitato “La Biblioteca Nazionale di Napoli non si tocca”, composto da lettori, lavoratori, studiosi, volontari e visitatori, è inconcepibile progettare un trasloco da decine di milioni di euro fuori dal centro, «In una zona storicamente mal servita da trasporto pubblico e mal collegata al resto della città», separando poi le ricchissime raccolte «Dal prezioso contesto storico-artistico in cui sono collocate e valorizzate», si legge nel testo della petizione inviata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Secondo il Comitato, inoltre, si perderebbero anche i benefici legati alla prossimità con gli altri istituti culturali, oltre che con il percorso turistico, e sarebbero vanificate anche le tante spese sostenute in questi anni per ammodernare la struttura.

Al netto delle dichiarazioni di Franceschini, per il Real Albergo dei Poveri non sembrano profilarsi progetti concreti e, per il momento, la Biblioteca Nazionale rimane ancora a Palazzo Reale. Al contrario, l’immaginazione abbonda. Il Ministero per il Sud, retto da Mara Carfagna, aveva lanciato una campagna di idee dal titolo arioso di “100 idee per l’Albergo dei Poveri”. E onorando la creatività partenopea ne sono arrivate circa 200, alcune delle quali riunite in un leggerissimo, etereo ebook che, chissà, forse un giorno verrà anche stampato e conservato in qualche biblioteca.

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