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Cosa c’è di nuovo? Sull’opportunità dell’arte di valicare i confini politici
Attualità
Con poche eccezioni gli artisti in Italia si formano nelle Accademie di Belle Arti e i musicisti nei Conservatori, luoghi nevralgici per la vita delle tecniche artistiche e della cultura dell’arte, unitamente alle Università, da cui escono critici d’arte contemporanea e storici dell’arte, oltre che in alcuni casi artisti molto molto cool. A volte capita di rammentare con nostalgia grandi critici della seconda metà del ‘900, promotori di rassegne d’arte contemporanea memorabili, come Argan, Calvesi, Ragghianti, Briganti, Quintavalle e altri, tutti anche formidabili storici dell’arte.
Ieri come oggi, occuparsi di cultura significa interessarsi a politica ed economia, gli studiosi appena citati producendo sapere facevano politica. Esplicitamente, come Giulio Carlo Argan, che fu anche sindaco di Roma. Oppure implicitamente, come Arturo Carlo Quintavalle, che ideò la prima grande mostra europea sulla relazione arte/comunicazione. O ancora prendendo posizione sulle nuove necessità sociali della museografia e della museologia, come accadde a Carlo Ludovico Ragghianti.
Su Il Sole 24 Ore del 3 settembre, Gian Maria Tosatti, artista e direttore della Quadriennale, mette in campo un articolo intitolato Come siamo silenziosi sullo stato dell’arte, dove si lamenta la mancanza di dialettica, di dibattito e di pubblicistica sull’attuale e recente storia delle arti in Italia. In realtà si è silenti su molte altre cose e ancora più pericoloso può apparire il silenzio che sta tracimando dallo stato dell’arte allo stato delle coscienze. Nel sistema dell’arte il politicamente corretto è diventato vettore e complice di diffuse opini precotte e rasserenanti. Quasi non ci si accorge che lo spirito critico, strumento primo delle dinamiche culturali, conosce oggi in Italia, molto più che in altri Paesi europei, un’imposizione di perimetri ben delimitati, in altre parole, una repressione, una censura pericolosa da pensiero unico. E visto che ci occupiamo d’arte, parliamone.
Le accademie di belle arti e i conservatori di musica sono sempre stati patria di libertà di pensiero e luoghi anche di scontri e di posizioni critiche contrastanti. Oggi queste istituzioni sembrano indifferenti al fenomeno che più d’ogni altro dovrebbe inquietare chi gestisce la conoscenza, che è strumento di democrazia. Mi riferisco al sempre più diffuso e servile ostracismo alla cultura russa, imposto da direttive chiare, o sottotraccia, sovranazionali. Non si ha nulla da dire sull’interdizione del più grande fondo librario mondiale gratuito del web (e senza iscrizione al sito), russo, il Library Genesis, da parte dell’FBI? Non suscitano indignazione musicisti cacciati vergognosamente dai loro posti di lavoro, perché russi? E le università che impongono la cancellazione di corsi d letteratura russa? E i giornalisti costretti a tacitare le proprie opinioni sulla Russia di oggi, pena la rimozione dal loro ruolo?
Ma perché le accademie di belle arti, i conservatori, istituzioni che formano gli artisti, in cui insegnano artisti, sovente dirette da artisti, continuano a non esprimere una posizione in questa notte della cultura e su questa pratica servile e strisciante, che osa mettere al bando una civiltà straordinariamente significativa, peraltro così strettamente legata anche al patrimonio intellettuale europeo?
Cara Eleonora
nel 2004 ho ricevuto invito dal Presidente UNESCO-RUSSIA e Ministro della CULTURA RUSSA a partecipare al PRIMO CONGRESSO MONDIALE UNESCO per la CULTURA, 500 delegati a San Pietroburgo nell’Università dove Putin ha studiato, il mio contributo sulle POLITICHE CINESI e di 12 Ministri Asiatici, sullo scambio CULTURALE fra la CINA ed il resto del mondo (sono ITALIANA ) per la PACE, mi portò a SEATTLE nel gennaio 2005 dove la PRESIDENTE UNESCO MRS.SKY introdusse documentari realizzati in CINA in 10 lingue con l’UNESCO (ostacolati in ITALIA nonostante un mandato scritto ufficiale del VATICANO che a Pechino oggi ha mandato un nuovo Ambasciatore sconosciuto ai CINESI (la storia di MATTEO RICCI non ha insegnato ai GESUITI come si lavora in CINA e l’importanza di concrete attività nel SOCIALE in un PAESE di un miliardo e 400 milioni di persone) con USI-Costumi e Religioni differenti nel 2000 anno della Fondazione dell’UNIVERSITA’ delle RELIGIONI a PECHINO, neanche l’UNESCO sapeva dell’UNIVERSITA’ e delle DONNE IMAN che dirigono MOSCHEE in CINA
purtroppo sono stati pubblicati molti libri tutti in sede UNESCO e solo ora (allo scoppio della guerra sono stati resi pubblici) la sede centrale è PARIGI non dimentichiamolo che è una Capitale EUROPEA (una EUROPA Premio Nobel per la PACE la stessa che lascia morire in mare gente disperata.
io ringrazio gli AMICI RUSSI ed UCRAINI e come te mi domando se l’ITALIA CULTURALE esiste, visto che ROMA è gemellata con PECHINO da oltre 20 anni e che la CULTURA RUSSA ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione di molti intellettuali e politiici ITALIANI
complimenti potremmo fare a meno dell’ARTIFICIAL INTELLIGENT se gli operatori culturali ITALIANI usassero il loro cervello come te
Rosa