New Directions May Emerge, il titolo della seconda edizione della biennale di Helsinki, è tratto da una riflessione dell’antropologa e femminista americana Anna Lowenhaupt Tsing. Autrice di un libro di cui si è a lungo parlato negli ultimi anni, Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, Tsing scrive che è necessario imparare a guardare in modo diverso l’ambiente di cui viviamo, di abbandonare posizioni di superiorità dell’uomo nei confronti degli altri esseri viventi. Statement condiviso dalla curatrice della biennale Joasia Krysa, che all’inaugurazione ha dichiarato: «ho selezionato opere che oltre ad essere site-specific sono “site-sensitive”, poiché entrano in dialogo con lo spazio in cui sono installate, ne registrano e restituiscono le peculiarità ambientali nella consapevolezza di essere parte di una rete di connessioni e parentele con altre specie vegetali e animali. Le opere esplorano temi riguardanti la contaminazione, la rigenerazione e l’impatto delle tecnologie sull’ecosistema, istanze di carattere universale indagate però nel rispetto del contesto locale».
La maggior parte delle opere, realizzate da 30 artisti e collettivi internazionali, sono raccolte nell’ex isola militare russa di Vallisaari, all’Helsinki Art Museum, alla Biblioteca Oodi e in alcuni altri spazi pubblici della città. Facilmente accessibile a soli 20 minuti di traghetto dal centro della città, l’isola di Vallisaari è parte delle 200 isole dell’arcipelago di Helsinki, è disabitata e solo negli ultimi anni è stata resa visitabile.
Tra le opere commissionate vi sono le sculture di Adrián Villar Rojas, opere di piccole dimensioni che si mimetizzano con la vegetazione dell’isola. Ideate prendendo a modello il modo in cui l’uccello hornero costruisce in Argentina e in Sud America nidi a forma di forni, Villar Rojas ha realizzato piccole sculture che ha collocato sui rami degli alberi. Opere che simulano forme organiche, pur essendo realizzate con software da lui chiamati “Time Engine”.
L’algerino Mohamed Sleiman Labat e il media artist Pekka Niskanen presentano una nuova installazione del progetto PHOSfate, riguardante l’utilizzo del fosfato e le conseguenze che ha in diversi contesti geografici. I fosfati estratti dalle miniere nel deserto marocchino utilizzati per l’agricoltura stanno inquinando il Mar Baltico, determinando l’esaurimento dell’ossigeno e la morte della vita marina. Allo stesso tempo l’estrazione dei fosfati è anche la ragione per cui i Sahrawi stanno perdendo il loro stile di vita nomade. Ispirati al modello sviluppato dai giardini sandoponici dei Sahrawi che utilizzano la sabbia come mezzo per la coltivazione del cibo, PHOSfate ha riproposto quel tipo di coltivazione per la Biennale. Orti composti da sabbia per coltivare basilico, coriandolo, carote, patate, cavoli e lattuga, le piante coltivate negli orti sahrawi.
In un ex deposito di munizioni dell’isola è installata l’opera ¡Cuánto río allá arriba! di Asunción Molinos Gordo. La ricercatrice e artista spagnola ha assemblato recipienti utilizzati per il trasporto, la conservazione e il consumo dell’acqua, basati sui modi in cui nell’VIII secolo famiglie contadine berbere costruirono canali di irrigazione per distribuire l’acqua, nella regione di Valencia nell’VIII secolo. «L’opera nasce da diverse riflessioni» ha affermato l’artista. «Nel dicembre 2020 l’acqua, bene comune e fonte di vita in tutto il pianeta, è stata quotata alla borsa di Wall Street. Per me era incredibile vedere il contrasto tra i mercati finanziari che privatizzano l’acqua e le antiche metodologie idriche moresche che erano riuscite a assicurare l’accesso dell’acqua a tutti».
Diverse opere si occupano invece della storia e del rispetto delle culture indigene. Il video Hypoxia di Emilija Škarnulytė è una narrazione tra fantasy e materiali d’archivio riguardanti l’ecosistema del Mar Baltico. Riprese riguardanti le fuoriuscite di gas del gasdotto Nord Stream del giugno 2022 si contrappongono alla leggenda di Jūratė e Kastytis, tra le più famose della cultura popolare lituana. Il video Oikos dell’artista sami Matti Aikio è basato su ricordi d’infanzia e sulla storia della sua famiglia, allevatori di renne, mentre l’installazione The Materia Medica of Islands di Lotta Petronella si occupa dei metodi secolari utilizzati dai sami per curarsi, servendosi di erbe medicinali e di essenze create con la flora locale.
Indagini presenti anche all’Helsinki Art Museum con la video installazione di INTERPRT, agenzia di ricerca che si occupa di giustizia ambientale e diritti umani. Nel loro nuovo lavoro per la Biennale intitolato Colonial Present: Counter-mapping the Truth and Reconciliation Commissions in Sápmi è esaminata l’espropriazione delle terre delle popolazioni sami. Occupazione che continua ancora oggi, con la costruzione dei parchi eolici e dei Data Center. Quello che viene chiamato “colonialismo verde” sta infatti avvenendo a spese delle popolazioni indigene, i cui diritti sono ignorati in nome della sostenibilità. L’installazione raccoglie materiali d’archivio, cartografiche, dati ambientali, interviste, riguardanti la disputa legale in corso tra le comunità di allevatori di renne sámi e i progetti di energia eolica a Øyfjellet nella contea di Nordland nella Norvegia settentrionale. Materiali presentati anche alla Biblioteca Oodi, dove oltre cui a mappe e alla cronologia dell’espropriazione della terra sono raccolte anche immagini d’archivio delle scuole residenziali sámi. La video installazione di Tabita Rezaire Deep Down Tidal indaga le morfologie legate all’acqua. Dai racconti delle città sommerse, alla presenza delle infrastrutture dei cavi sottomarini in fibra ottica per le reti internet, ai profughi che perdono la vita nel Mediterraneo, l’abisso oceanico raccoglie narrazioni perdute appartenenti alla storia dell’umanità.
Impossibile raccontare tutte le opere, cosi come gli eventi collaterali che scandiscono l’agenda della Biennale, visitabile fino al 17 settembre. Tra questi ricordiamo Mapping the belonging, curato da Clément Beraud con un gruppo di studenti di Aalto University, che propone un esercizio di psicogeografia in cui i partecipanti creano la propria mappa emozionale dell’isola di Vallisaari. La Golden Snail Opera è invece una performance multispecie, nata dalla collaborazione tra le antropologhe Yen-Ling Tsai e Anna L. Tsing, la regista Isabelle Carbonell e la coltivatrice e traduttrice Joelle Chevrier. Performance che narra la storia della lumaca del tesoro d’oro. Importata per la prima volta a Taiwan dall’Argentina nel 1979 per iniziare l’industria di lumache, è ora un parassita che cercano di sterminare. Ma una nuova generazione di agricoltori nella contea di Yilan di Taiwan le raccoglie a mano per integrarle nell’ecologia della risaia. Una storia di rigenerazione che indica nuove possibilità di osservazione e interpretazione dell’esistente, perché solo così New Directions May Emerge.
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