Il partito Sinn Féin, che in gaelico significa “noi stessi”, sconvolgendo la tradizione centrista dell’Irlanda ha raccolto quasi un quarto dei voti di prima preferenza e proverà a formare un governo dopo essere risultato in percentuale la formazione più votata nelle elezioni generali di sabato, un risultato storico che ha scosso il sistema politico. La leader del partito, Mary Lou McDonald, ha dichiarato domenica davanti a una folla di sostenitori che «si è verificata una piccola rivoluzione» e ha tenuto a sottolineare che il sistema politico irlandese «non è più bipartitico».
Il Sinn Féin, un partito che è sempre stato tenuto ai margini del sistema politico per i suoi antichi legami con l’IRA, ha superato non di poco Fine Gael e Fianna Fáil, i due partiti rivali centristi che a turno hanno governato l’Irlanda per un secolo. Ha vinto cavalcando un’ondata di rabbia e indignazione per la carenza di alloggi, l’aumento dei senzatetto per le strade, gli affitti schizzati alle stelle e le liste d’attesa interminabili nelle strutture ospedaliere. Ha saputo sfruttare inoltre la prevedibile delusione per il tradizionale duopolio politico.
Se si tiene conto esclusivamente dei voti di prima preferenza, Sinn Féin ha ottenuto infatti il 24,1%, Fianna Fáil e Fine Gael a pari merito il 22,1% e i Verdi il 7,4% insieme ad altri piccoli partiti di sinistra e indipendenti. Un risultato definito da molti osservatori sbalorditivo per quella che fu l’ala politica dell’IRA durante i Troubles e che è rimasto un partito marginale nella Repubblica d’Irlanda fino alla sottoscrizione dell’Accordo del Venerdì Santo del 1998.
Alla McDonald va sicuramente riconosciuto il merito di aver portato il partito su posizioni più moderate. È riuscita inoltre in questi due anni di leadership, a ripulire quella immagine che associava irrimediabilmente il partito alla formazione terroristica. Subito dopo i risultati ha dichiarato di aver parlato con i Verdi e le piccole formazioni di sinistra nella speranza di formare una coalizione senza Fine Gael o Fianna Fáil, uno scenario improbabile, dato il complesso meccanismo elettorale irlandese. Proprio in quest’ottica, quindi, non è ancora da escludersi un accordo con le due vecchie formazioni centriste.
L’aritmetica parlamentare può tuttavia escludere Sinn Féin dal governo. Fianna Fáil e Fine Gael gestivano un numero maggiore di candidati e si prevede che ciascuno di loro otterrà più seggi di Sinn Féin nella Camera bassa del Parlamento irlandese. Quello irlandese è un sistema basato sul voto singolo trasferibile, cioè una formula proporzionale a voto di preferenza. Resta poco chiaro, quindi, quali partiti saranno in grado di formare una valida coalizione: di fronte a questo scenario la chiave di volta potrebbe essere quella di un’altra elezione generale.
Durante la campagna elettorale, Leo Varadkar, primo ministro e leader di Fine Gael, e Micheál Martin, leader di Fianna Fáil, hanno entrambi escluso l’ingresso in una compagine di governo che includesse Sinn Féin, adducendo ragioni politiche ed etiche. «Per noi, la coalizione con Sinn Féin non è un’opzione, ma siamo disposti a parlare con altre parti», ha dichiarato domenica sera Varadkar ai giornalisti a Dublino. Varadkar, che tra le altre cose è stato il primo Prime Minister dichiaratamente gay in Irlanda, ha puntato tutta la sua campagna elettorale su un’economia solida e sui buoni risultati ottenuti nelle contrattazioni con il Regno Unito riguardanti la Brexit.
Si è dovuto però scontrare con la rabbia degli elettori per il crescente costo della vita e la regressione dei servizi pubblici. Di diverso avviso invece Martin, leader di Fianna Fáil che, dati i risultati, sembra aver lasciato la porta socchiusa all’idea di una coalizione con Fine Gael o Sinn Féin, citando la necessità di stabilità di fronte alla frammentazione politica e all’ingovernabilità. Molti membri del suo partito, attribuiscono il contraccolpo elettorale al loro accordo di fiducia con il governo uscente di Varadkar, e preferirebbero un accordo con Sinn Féin piuttosto che un’altra alleanza centrista. In ogni caso, tutti gli esponenti del panorama politico hanno affermato che le elezioni sono state sismiche e hanno manomesso il vecchio meccanismo di alternanza tra Fianna Fáil e Fine Gael.
Il commentatore Fintan O’Toole ha scritto sull’Irish Times che i giovani elettori, infrangendo il vecchio tabù che impediva di sostenere un partito associato al terrorismo, «sono andati dove erano stati avvertiti di non andare e, così facendo, hanno ridisegnato la mappa della politica irlandese». Sinn Féin ha quasi doppiato, infatti, il risultato elettorale del 2016 del 13,8%, voti che osservando i flussi elettorali sarebbero arrivati in gran parte dai giovani del paese.
Nessuno, neanche i membri dello stesso partito nazionalista di sinistra, si aspettava tuttavia una tale ascesa. Lo stesso Gerry Adams, che ha lasciato la leadership di Sinn Féin nel 2018 dopo 34 anni, ha affermato di non aver previsto l’entità della vittoria. Personaggio controverso, che ha guidato il partito per più di tre decenni, ha sempre sostenuto che uno dei punti programmatici sarebbe stato quello di usare un eventuale mandato per pianificare un’Irlanda unita. La questione è rientrata da poco nel dibattito pubblico ma i sondaggi sconsigliano almeno per il momento di imbarcarsi in una simile avventura. Molti infatti si sono dichiarati scettici sostenendo che un simile scenario potrebbe destabilizzare entrambi i lati dell’isola. Nel 2019 si sono infatti verificati episodi di recrudescenza e le tensioni sembrano essere aumentate, così come gli episodi di violenza. I leader sindacalisti nell’Irlanda del Nord non hanno per il momento manifestato nessuna reazione rispetto ai risultati a Sud del confine.
Il successo della sinistra nazionalista irlandese, al netto delle peculiari caratteristiche del Paese, dimostra (come dicevamo nel focus su Bernie Sanders), come le proposte più radicali nel campo della sinistra stiano arrivando dai Paesi di matrice anglosassone. Il Sinn Féin, come hanno sostenuto molti osservatori, ha inoltre aumentato i propri consensi opponendosi alle politiche di austerità adottate dai governi di destra conservatori dopo la crisi economica del 2008 che in Irlanda è stata particolarmente sentita dalla popolazione. Ha avviato un duro processo di critica durante tutto il corso degli anni ‘10 a un sistema economico che per risorgere dalla crisi ha puntato tutto sull’austerity più ferrea e al contempo su un laissez faire totale nei confronti delle multinazionali che, da quella crisi hanno trovato nella Repubblica d’Irlanda uno dei più vantaggiosi regimi fiscali europei, trasferendoci molte delle loro sedi.
Un successo elettorale che viene, quindi, da molto lontano e che, seppure non propriamente prevedibile, ha trovato la sua solidità in una proposta radicale di sinistra nazional populista. Non resta quindi che attendere di capire se il Sinn Féin continuerà a essere marginalizzato dalle altre forze politiche del Paese o se invece avrà la possibilità di far valere il suo storico risultato elettorale.
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