In merito alla querelle sorta a seguito di una performance non prevista nell’ambito della mostra dedicata all’artista e attivista Giacomo Verde al CAMeC di La Spezia (di cui scrivevamo qui), pubblichiamo la replica inviataci da Anna Maria Monteverdi, a nome degli organizzatori e dei collaboratori dell’esposizione.
«“Liberare Arte da Artisti al CAmeC della Spezia è una mostra viva, movimentata, attenta. Gioiosa e allo stesso tempo non riconciliata. Una mostra consapevole di quanto ancora ci sia da fare per trasformare il nostro sguardo sul mondo, per svegliarci, per capire, per attivarci. Attivarci con arte. Artivarci. Che vuol dire non fermarsi alla propaganda, che è un gesto pigro, che confeziona slogan. La negazione dell’arte”.
Non si potrebbe descrivere meglio la mostra sul tecnoartivista Giacomo Verde – realizzata dal numeroso gruppo curatoriale da me riunito – che con queste parole di Sandra Lischi, faro nel mondo dell’arte elettronica. Lischi, che ha conosciuto Giacomo più di tutti noi, prima di molti di noi, è stata una guida illuminante e una compagna di viaggio preziosa e scrupolosa in questa non semplice curatela, a così breve distanza dalla scomparsa dell’artista avvenuta il 2 maggio 2020.
Questa mostra arrivava dopo numerosi omaggi a Giacomo fatti da molti di noi: dalle proiezioni pubbliche alle giornate-studio in varie Accademie di Belle Arti alla creazione, a luglio 2020, della rivista Connessioni Remote a lui dedicata dal Dipartimento Beni Culturali dell’Università di Milano fino alla pubblicazione di due volumi open access per la Milano University Press con i suoi disegni per videoinstallazioni e videoteatro. Mostra e pubblicazioni erano l’ottemperare al desiderio espresso dall’artista nel suo testamento, di diffondere il suo “archivio”. La memoria e la trasmissione del suo lavoro per molti di noi è stata, in questi anni, la priorità assoluta, e ancora continua a esserlo.
La mostra, alla cui realizzazione hanno collaborato l’Accademia di Belle Arti di Carrara (con Clemente Pestelli e Massimo Cittadini nel ruolo di docenti-artisti e tre loro allievi) e l’Università di Milano (con la presenza del Rettore prof. Elio Franzini), è stata declinata nel corso dei sette mesi, nelle tre diverse anime artistiche di Verde, con cui abbiamo anche organizzato i “re-opening”: Artivismo; Arte interattiva e Teatro. Credo sia altresì significativo che il pre-opening lo abbiamo realizzato al Centro Diurno “La Gabbianella”, per ospiti disabili che hanno potuto per la prima volta usare strumenti tecnologici e maneggiare i videoloop di Giacomo giocando con il teleracconto. Siamo partiti così, da un’idea di arte tecnologica sociale e inclusiva, e da lì ci siamo mossi per rendere gli spazi del Museo sempre abitati, vivi, ricchi di incontri, di laboratori, di seminari, di proiezioni. Per non tradire l’arte di Giacomo, arte di relazione, accogliente, ludica e formAttiva.
Le tecno oper’azioni di Verde toccavano la dimensione installattiva e performativa e non esiste libro di media art italiana e di videoteatro che non citi il suo lavoro come pionieristico: il low tech era il suo marchio e il suo lasciapassare per il mondo, con il quale si inventava pratiche irriverenti, dissonanti. E così, per molti mesi, ci siamo preoccupati di radunare materiali, selezionarli, raggrupparli ma anche disordinarli, mettendo in mostra Tv rotte, opere video analogiche e installazioni interattive. Cominciare con il tema dell’artivismo è stata una scelta naturale e unanime, proprio per il carattere politico dell’arte di Giac che doveva essere protagonista; ma di una cosa eravamo certi: l’atto più artivista di tutti lo avevamo fatto noi portando Giacomo dentro un “contenitore” istituzionale come un Museo – troppo spesso refrattario alle tematiche sociali e politiche e inconciliabile con i formati d’arte non “normalizzati”.
In più di un’occasione guardando il grande stendardo che da giugno accoglieva il pubblico al CAMeC, che ci ha accolti per ben sette mesi, ci siamo sentiti orgogliosi di quello che eravamo riusciti a fare tutti insieme. Non tanto e non solo perché abbiamo recuperato e digitalizzato materiali video d’archivio ormai al limite della leggibilità ma perché il contenuto dell’opera di Verde, che aveva viaggiato fino a quel momento quasi esclusivamente su territori indipendenti e underground, fuori dai circuiti ufficiali, era finalmente di tutti e per tutti. Era diventato un bene comune! Avevamo ben presente che video come quello sul G8 di Genova, intitolato Solo limoni, dovevano essere centrali e protagonisti, e così è stato: il documentario videopoetico realizzato con Lello Voce è stato proiettato il 20 luglio in una giornata commovente e toccante con Roberto Rinaldi, penna di Articolo 21 e la giornalista indipendente Simona Frigerio, insieme con la ricercatrice Dalila D’Amico; da quel giorno fino al 9 settembre il video è stato trasmesso in maniera continuativa all’interno della mostra. Le immagini delle cariche della polizia e del corpo violato di Carlo Giuliani hanno reso la mostra ancora più “necessaria”. Altri video “scomodi” come MalaPolizia sono stati proiettati a loop per molti mesi insieme a tutto il materiale di videoarte proveniente dall’archivio Verde, grazie a Clemente Pestelli e alla sua Maratona Verde algoritmica.
Impossibile elencare tutte le persone che hanno partecipato all’allestimento materiale della mostra: oltre alla famiglia Verde coinvolta direttamente (il figlio Tommaso e il fratello Sabatino) hanno avuto un ruolo fondamentale Vincenzo Sansone (Accademia di Brera), che ha realizzato i laboratori e Andreina di Brino (Università di Pisa), che ha curato la sezione videoarte; un posto particolare va lasciato a Lorenzo Antei studente dell’Accademia di Carrara, che ha restituito a nuova vita l’installazione interattiva Reperto Antropologico 1995 arrivata in prestito dal Museo di Gallarate non più funzionante.
La conferma del buon lavoro svolto per la mostra è stata l’affluenza costante del pubblico; tra questi, moltissimi curatori, artisti sodali di Verde nella sperimentazione e nella ricerca tecnoartistica degli anni Ottanta e Novanta, e moltissimi studenti e ricercatori. Una mostra enorme che ha accolto e coinvolto figure autorevoli, dai fotografi Massimo Vitali a Jacopo Benassi al change maker Carlo Infante, che ha dedicato in presenza e via radio web un commuovente percorso tra le “scatole della memoria”, incrociando ricordi e persone vicine all’artista; e ancora, il regista e attore Carlo Presotto, che ha riproposto dal vivo, a distanza di 25 anni, il teleracconto sulla guerra nella ex Jugoslavia ideato con Giacomo. Si è aggiunto nel finissage di gennaio, l’omaggio musicale di Sandro Berti della Banda Osiris e di Gianfranco Martinelli e Carles Canellas  arrivati appositamente dalla Spagna e dalla Svizzera – per raccontare il teatro popolare d’arte di Giacomo Verde, ai tempi in cui aveva fondato una Comune in Toscana e faceva teatro di strada. La sezione interattiva è stata inaugurata da Giuditta Panzeri, figlia di Silvana Vassallo, grande amica di Verde e curatrice dell’unica monografia dedicata al videomaker, scomparsa pochi mesi dopo l’inaugurazione. In occasione della mostra abbiamo predisposto visite guidate per scuole, associazioni, circoli e, in streaming dal Museo, abbiamo condotto 4 puntate di un seminario on line sugli archivi audiovisivi per la Fondazione Cini di Venezia. La mostra è stata, inoltre, il set elettivo di un documentario che alcuni giovani artisti ex studenti d’Accademia stanno realizzando e palcoscenico di una performance di danza butoh “Radici” di Annalisa Maggiani.
Rompendo un muro a pugni, pasticciando più pareti con vernice rossa e imbrattando copiosamente il pavimento proprio il giorno dell’inaugurazione, i 4 componenti di Dadaboom, originariamente parte del gruppo curatoriale, se ne sono distaccati, portando via successivamente le loro installazioni. Niente di personale contro gli autori materiali di una scritta sulla demilitarizzazione della città . Un messaggio assolutamente condivisibile, una scritta che si può incontrare un po’ ovunque sui muri della Spezia, dato che ospita l’Arsenale militare. Ma, perfettamente in linea con la riflessione di Sandra Lischi, i curatori e organizzatori (una gran parte di questi) hanno ravveduto quanto la violenza espressa nel prendere a pugni un muro fino a romperlo, fosse distante dall’est’etica di Verde, artista sì disallineato ma assolutamente aperto alla discussione e al confronto. La mia personale critica, da studiosa di performing arts, è l’assoluta inefficacia di quel gesto (perché non pianificato) e della comunicazione del contenuto (la scritta era illeggibile). La sua successiva scomparsa rientrava nella natura effimera della performance, anche se è bene sapere che la scritta (e il buco nella parete) è rimasta visibile al pubblico per due settimane – senza alcuna censura. La critica dell’organizzazione era rivolta non all’azione in sé ma al fatto che non fosse stata condivisa o programmata collettivamente (a differenza di ogni altro intervento in mostra). Infine, cosa da non trascurare, sarebbe stato assai più in linea con il dettato artivista, invece di dissociarsi dall’organizzazione di una mostra che ha raccontato così fedelmente l’artista in tutte le sue sfaccettature, se i “performer” si fossero assunti la responsabilità anche economica del ripristino (cosa di cui si è fatto carico invece, il figlio ventenne di Verde, che aveva firmato il contratto con il Comune ed era, quindi, responsabile civilmente di quanto accaduto). Giorni dopo, l’epilogo: un membro dei Dadaboom, ormai da semplice visitatore, si è introdotto nella mostra per tagliuzzarsi maldestramente con un cutter di fronte al pubblico presente e alle telecamere della videosorveglianza, sporcando con qualche goccia di sangue la stessa parete.
Gli organizzatori e curatori hanno deciso in totale armonia, di continuare il proprio lavoro (nessun artista coinvolto ha levato le proprie installazioni dalla mostra), fedeli al dettato di Giacomo e ai suoi intenti di socializzazione dell’arte; hanno così, proseguito instancabilmente fino al 15 gennaio l’opera di capillare condivisione delle cre’azioni dell’artivista da cui erano partiti, coinvolgendo visitatori, cittadinanza, associazioni, scuole e artisti in un’esperienza multimediale forse unica nel panorama museale italiano contemporaneo.
Ampia la rassegna stampa (106 tra articoli e segnalazioni)».
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