La sezione francese del collettivo femminista FEMEN ha organizzato una manifestazione di protesta al Musée d’Orsay, riferita all’episodio della donna alla quale è stato impedito l’accesso al museo, a causa della scollatura del suo vestito, ritenuta troppo audace dagli addetti della biglietteria. Lo scorso sabato, circa 20 attiviste sono entrate nel museo regolarmente e poi, una volta arrivate nella gallerie delle sculture, hanno tolto le magliette, rimanendo a petto nudo.
Ferme nella postura e nelle intenzioni, hanno gridato ad alta voce lo slogan che era scritto a lettere nere anche sui loro toraci: «Obscene becouse of you», l’oscenità è nei tuoi occhi. Le immagini dell’azione al Musée d’Orsay, chiamata My Breasts Are Not Obscene, sono state pubblicate sull’account Twitter di FEMEN e hanno fatto rapidamente il giro dei web e dei media.
«Sosteniamo Jeanne e tutte le donne vittime di discriminazione sessista. Stop alla sessualizzazione dei corpi delle donne», hanno scritto. La vicenda che ha scatenato la protesta risale a qualche giorno fa e, anche in questo caso, è diventata di dominio pubblico grazie a un post su Twitter in cui Jeanne ha spiegato ciò che le era successo. «Arrivata all’ingresso del museo, non ho avuto modo di ritirare il biglietto perché la vista del mio seno ha sconvolto un agente incaricato del controllo delle prenotazioni», ha spiegato Jean. «Mi trovavo di fronte a una cerchia di persone che mi hanno messo sotto processo per il mio aspetto. Nessuno ha detto la parola “seno” mentre mi guardavano facendo finta di non vedere. È stato umiliante», ha scritto la donna una lunga lettera su Twitter. Alla fine, per accedere al d’Orsay, Jeanne ha dovuto indossare una giacca.
Paradossale che un episodio del genere sia successo in un museo nel quale sono esposti capolavori assoluti della storia universale dell’arte, quali Colazione sull’erba e Olympia di Edoaurd Manet, che mettono in evidenza il corpo, con le sue armonie ma anche con le sue proporzioni non sempre perfette. E poi, si sa che i canoni di ciò che riconosciamo come bellezza o il suo opposto – e quindi anche come osceno – sono tutt’altro che immutabili. In questo caso, fortunatamente, si è trattato di una decisione che, per quanto a dir poco avventata, è stata presa in maniera autonoma da un addetto alla biglietteria. Il museo, infatti, si è subito scusato pubblicamente con la donna.
Ma le FEMEN non l’hanno fatta passare liscia al d’Orsay e così sono tornate sul luogo del misfatto per far sentire la propria voce in maniera perentoria. Le immagini dell’azione sono decisamente potenti, i corpi delle FEMEN, ognuno scultoreo a suo modo, interagiscono con violenza con l’ambiente rarefatto del museo, con le forme di marmo espresse dalla storia dell’arte più nobile, in uno scontro di forze che sa quasi di apollineo e dionisiaco. Le attiviste a petto nudo additano i visitatori del museo come fossero direttamente colpevoli, anche se, probabilmente, ignari dell’episodio di Jeanne.
Ma siamo tutti colpevoli di qualcosa e non è tempo di andare tanto per il sottile, in fondo siamo a un passo dall’estinzione di massa, potremmo dire. E poi, additando i visitatori, si vuole attaccare il museo, quindi un sistema di pensiero. Eppure, magari, proprio in questi momenti così convulsi sarebbe utile mantenere la calma e trovare un accordo a partire non solo da una base razionale ma anche dalla possibilità di un incontro orizzontale, evitando la dinamica divisva del giudice e del colpevole o presunto tale.
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Invece il loro respiro è osceno che si coprono il volto? Femministe ma sottomesse a dittatura, senza coraggio, propagandano mascheramento.
Da femmine rifiutiamo questo femminismo, propaganda anti femminile, sono loro a sfruttare il corpo.
Male ovviamente Orsay a vietare scollature, sostengo la nudità pubblica libera, ma loro potrebbero protestare a petto coperto e volto scoperto, sarebbe più eclatante.
Hanno annoiato, vero messaggio di questa azione è siamo sottomesse alla dittatura, la rivolta è imbavagliata.
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