Categorie: Attualità

A Ferrara, mille firme contro la gestione culturale di Sgarbi e Gulinelli

di - 5 Febbraio 2021

A Ferrara, il settore culturale sta attraversando giorni caldi. La temperatura si è alzata non tanto per le condizioni meteorologiche, quanto per l’agitazione degli operatori, tra bibliotecari, guide turistiche, insegnanti, librai, docenti universitari, musicisti, scrittori, cooperatori, artisti, editori indipendenti, ricercatori, attivisti di associazioni di volontariato e di promozione sociale, firmatari di un appello rivolto al Ministro dei Beni Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, al Presidente Unesco, Franco Bernabè, e all’assessore regionale, Mauro Felicori, contro l’amministrazione della cultura da parte del Comune di Ferrara e la presenza ingombrante di Vittorio Sgarbi.

Sotto i lustrini c’è di più

Bersaglio della protesta, supportata dal comitato delle Sardine, le decisioni dell’assessore Marco Gulinelli e le reiterate ingerenze di Vittorio Sgarbi che, tra i vari ruoli in giro per l’Italia, ricopre anche quello di Presidente di Ferrara Arte, Fondazione costituita dal Comune e dalla Provincia di Ferrara, il cui scopo è organizzare «Mostre di livello internazionale tese a proseguire la grande tradizione storico-artistica ed espositiva della città».

Ma, per gli estensori dell’appello, tra i quali il genetista Guido Barbujani, il teologo Piero Stefani, il pianista M. Hugo Aisemberg, l’ex presidente nazionale di Arcigay Flavio Romani, l’attore e regista Giuseppe Gandini, gli artisti Andrea Amaducci e Alessio Bolognesi, questa nobile missione sarebbe stata inesorabilmente distorta, per affidare incarichi super pagati ad amici e soliti noti.

«Levati lustrini e palette, al netto di presidenti onorari altisonanti e opinabili coadiutori artistici, i primi diciotto mesi dell’assessore Marco Gulinelli dimostrano una mancanza totale di prospettive e progettualità», è l’incipit esplicito della lettera.

L’appello degli operatori della cultura di Ferrara: non lasciateci soli con Sgarbi

Primo punto all’ordine dell’appello, le dimissioni del presidente della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Mario Resca, – che pure aveva dato impulso al nuovo programma culturale, presentato non troppi mesi fa – e del Cda, con conseguente «ricollocamento di poltrone di VIP». Nell’appello, il bersaglio è chiaro: «I bilanci del Teatro Comunale vengono seriamente messi a rischio dagli appetiti di chi lo sta utilizzando per offrire ingaggi spropositati a membri del proprio entourage, scelte imposte dall’attuale presidente di Ferrara Arte on. Vittorio Sgarbi che hanno portato alle dimissioni del presidente Resca», che guidava il teatro di Ferrara dal 2019.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, pare, sia stata la nomina di Moni Ovadia a direttore, con i termini della proposta contrattuale ridiscussi a incarico già formalmente affidato, «con un sensibile aumento del compenso e un prolungamento del contratto a favore del direttore, in contrasto con la delega ricevuta sulla base di quanto deliberato dal Cda in forza delle sue competenze», si leggeva nel comunicato diramato dal Cda per motivare le sue dimissioni.

Sulla vicenda si è espresso anche il sindaco di Ferrara, il leghista Alan Fabbri, che ai coup de théâtre non è nuovo (ricordiamo tutti la triste vicenda dello striscione del carroccio sul manifesto di Giulio Regeni): «La mia intenzione, come fatto fino ad oggi, è continuare a garantire piena autonomia decisionale al teatro, per rispetto della Fondazione, per amore della libertà e delle diverse espressioni culturali. Per questo ho voluto scindere la presidenza della Fondazione dalla figura del sindaco, diversamente dalle prassi adottate in passato».

Autonomia, portami via

Ma è proprio l’autonomia tra le cariche e le istituzioni a preoccupare maggiormente gli estensori dell’appello: da un lato, ci sono attività che, per di spessore, non ricevono che pochi euro di ristoro, d’altra parte, «In passato si è parlato di una possibile convenzione tra Comune e Fondazione Cavallini-Sgarbi che, di fatto, trasformerebbe il Castello Estense in un museo “privato”», spiegano nella lettera.

«Non abbiamo dimenticato, infatti, i termini di quell’accordo che avrebbe fruttato ai fratelli Sgarbi il 20% sul costo di ogni biglietto di ingresso al monumento simbolo di Ferrara, in cambio della presenza “permanente” al suo interno di opere d’arte appartenenti alla Fondazione di famiglia. Ora, scorrendo la programmazione per il 2021 annunciata dall’assessore Gulinelli, veniamo a sapere che sia il Castello Estense che Palazzo Schifanoia dovrebbero ospitare importanti mostre: confidiamo che non vengano più riproposti accordi sul costo d’ingresso che favorirebbero una fondazione di diritto privato riconducibile distintamente alla famiglia del presidente stesso dell’ente pubblico».

Sulla questione è intervenuta anche Elisabetta Sgarbi che, piuttosto piccata e minacciando querele, ha fatto sapere che le opere della Fondazione Cavallini-Sgarbi «Viaggeranno ben lontane da Ferrara», precisando inoltre come della Fondazione siano responsabili il Consiglio e il Ministero, tramite la Soprintendenza, «Non “i fratelli Sgarbi”, che non vedranno “fruttare nelle proprie tasche” alcunché, perché non è una “fondazione di famiglia”, ma una fondazione riconosciuta e vincolata quanto al suo patrimonio, dunque di tutti».

Una Ztl per salvare la cultura

Altra questione sollevata dalla lettera, il mancato rinnovo di un regolamento Ztl, che «Ha aggravato la presenza di macchine nel centro storico generando non pochi problemi alla qualità dell’aria e gravi danni al patrimonio monumentale», si legge. A essere chiamato in causa, questa volta, è il vicesindaco Nicola Lodi, delegato alla mobilità cittadina.

«L’insicurezza di pedoni e ciclisti, a causa del proliferare di mezzi motorizzati in strade strette o in zone di sosta inadeguate, ha fatto da contraltare al deturpamento di un ambiente unico che dovrebbe essere tutelato dall’Unesco e invece presenterà un pessimo spettacolo ai turisti che torneranno a Ferrara passata l’emergenza Coronavirus», continuano gli estensori dell’appello.

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