Spazio d’Arte Scoglio di Quarto, galleria milanese che dà sull’Alzaia del Naviglio Pavese, decide di sposare la causa del defunto fotografo Gian Butturini, dedicandogli una personale a cura di Gigliola Foschi.
Questa mostra ha l’intento di ridare giustizia alla poetica di un artista che ha dedicato un’intera carriera a rappresentare gli “ultimi” e a mettere in luce le controverse radicalizzazioni di una struttura sociale ingiusta e razzista.
Recentemente infatti, sull’onda del movimento “black lives matter”, una studentessa afro britannica, decide di dichiarare guerra su twitter ad un celebre scatto di Butturini, inserito nel libro fotografico London, edito nel 1969 e ristampato nel 2017.
La foto incriminata mette a confronto una donna di colore, dall’aria mesta e contrita, rinchiusa in un gabbiotto della metropolitana, a cui l’autore affianca lo scatto di un gorilla rinchiuso nello zoo di Londra.
Non c’è da stupirsi sull’effetto che a uno sguardo superficiale possa aver procurato questa associazione, costretto nei binari del manicheismo mainstream.
Ma non c’è mossa più pericolosa dell’estrapolazione di un’opera dal suo contesto.
Questo fatto ha mosso una serie di dinamiche che hanno portato il fotoreporter Martin Parr a ritirarsi dalla scena (e dal Bristol Photo Festival di cui era direttore), per aver tessuto le sue lodi nella sua celebre antologia dei migliori fotolibri, per avergli dedicato spazio nella mostra “Strange and Familiar – Britain as revealed by international photographers” (2016-2017) e per aver portato alla riedizione del libro nel 2017.
Ecco il risultato azzardato della battaglia a occhi chiusi, dei messaggi semplici, univoci e della mancanza di un vero confronto e dibattito. Torna attuale la frase di Butturini che apre il catalogo: “tutti bevono slogans e si cibano di manifesti”.
Il libro, una raccolta ancora fresca, intensa e interessante, racchiude infatti diverse immagini della Swinging London, gli stessi volti che possiamo ritrovare nel documentario Tonite Lets All Make Love in London girato negli stessi anni da Peter Whitehead: giovani hippie e sorridenti ragazze in minigonna, ma c’è qualcosa di più. Non ci mostra la Londra patinata delle riviste, bensì una Londra vera, spoglia, che – come scrive – non si mette in posa.
Butturini gioca col montaggio in post produzione, in linea con la scrittura dai ritmi jazzistici della Beat Generation, scontornando le figure e affiancando testi, grafiche ed immagini che evidenziano le contraddizioni di una città in piena espansione artistica ed economica. Nella sua prefazione li descrive come “appunti fotografici di un uomo della strada colti tra gli uomini della strada” dove gioca con accostamenti polemici, ironici, taglienti e dolci. Ad esempio a uno scatto dedicato a un “figlio dei fiori” pone le parole tratte dall’inizio del Vangelo di Luca in cui viene descritto per la prima volta Gesù. All’immagine di un anziano, vittima dei campi di concentramento, affianca l’immagine di due ragazzini benestanti, dagli occhi vividi, sulla cui giacca spicca una svastica. Immortala anche senza tetto, immigrati ed emarginati, facendo un’operazione di accostamento a personaggi della “Londra-bene”, rendendo sempre più evidente il suo occhio attento alla critica sociale. “Londra è la capitale di un Impero disfatto che hanno messo in vendita”.
Gli innumerevoli esempi del suo operato, racchiusi in questo libro e riportati in parte in mostra, ci fanno intuire la sua linea d’intenti. Se si fosse guardato e letto tutto con più attenzione, si sarebbe scorsa anche l’immagine dolcissima di un’altra donna di colore che abbraccia il suo bambino. Quale razzista opererebbe in questo modo?
Il sottile confine di mal interpretazione può essere così chiarito. Il suo sguardo pieno di pietas nei confronti della donna nel gabbiotto della metropolitana è enfatizzato dalle parole che le dedica nel libro: “Dai, assorbi l’energia indomabile di questo re della foresta, e ribellati, ritrova l’orgoglio black, non lasciarti schiacciare dalle discriminazioni!”.
Di fronte alla complessità della società contemporanea, alcune scelte artistiche qui presentate possono forse apparire un poco semplicistiche, ma riportate negli anni ’60 acquisiscono la loro forma e ritrovano la loro origine.
È dunque così facile mettersi in luce – celati da un monitor, nella piazza dei social – a discapito degli ideali di un’intera generazione di artisti, che si è prestata alla battaglia verso un mondo ingiusto?
Evidentemente sì, poiché la casa editrice decide di ritirare dal mercato tutti i volumi di London, su richiesta dello stesso Parr, per mandarli al macero.
La famiglia e l’Associazione Butturini hanno lanciato la campagna “Save the book” per salvare il libro e ridargli una nuova vita, lontano dai fraintendimenti mediatici.
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