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Gli opposti si attraggono a Berlino: tour invernale nella capitale tedesca
Attualità
Caldo
Le Kneipe sono le cosiddette birrerie ad angolo che di sera si popolano di giovani e adulti berlinesi. Sembrano luoghi magici, da fuori non si riesce a cogliere la quantità di persone che li riempiono a causa delle nuvole di fumo di sigaretta che lì sono permesse. La nebbia talvolta arriva fino sulla strada. Dentro, le persone si ammassano su tavoli e sgabelli di legno traballanti ordinando l’ennesima birra alla cameriera annoiata. Si beve birra e Mexikaner, un drink composto da succo di pomodoro, Sangrita, tabasco, sale, pepe e una base alcolica come vodka o tequila.
In una serata dentro ad una fumosa Kneipe nel quartiere di Neukölln studenti universitari e giovani lavoratori giocano a freccette e a biliardo mentre un anziano barbuto si guarda intorno rifugiandosi in un videogioco sul cellulare, forse in cerca di una giovinezza nuova, anacronistica.
Freddo
C’è la Berlino calda, sudata e fumosa e poi c’è la Berlino degli angeli di Wim Wenders de “Il cielo sopra Berlino”, quella poetica, sospesa. Non è possibile salire sulle spalle della Colonna della Vittoria del Tiergarten per osservare la città dall’alto come facevano quegli angeli nel 1987, ma si può salire sulla cupola del Reichstag e da lì la vista, se c’è il sole, è notevole. Una scala a doppia elica porta i visitatori attraverso la cupola, ristrutturata e ricostruita simile all’originale nel 1992 da Norman Foster in vetro e acciaio. Camminando verso l’alto si può osservare tutta Berlino a 360 gradi, scoprendo a ogni passo un anello più esterno della città. Si ha l’impressione di salire verso il cielo, di poter dominare la città, come facevano gli angeli, senza però la possibilità di dominare i pensieri della gente.
Buio
Oltre alla Berlino panoramica, alta e fredda, c’è la Berlino celata, furtiva. Un esempio è la Boros Collection in Reinhardtstraße. È un’architettura stratificata che ha cambiato varie destinazioni d’uso nel corso dell’ultimo secolo. Nato come bunker nazista con la funzione di rifugio per la popolazione civile, è diventato poi un magazzino per frutti tropicali, fino a quando negli anni ’90 è stato trasformato in uno dei più famosi club techno di Berlino (“Bunker”), conosciuto per le sue feste fetish e fantasy. Nel 2003 Karen e Christian Boros hanno acquistato questo edificio per rendere accessibile al pubblico la loro collezione di arte contemporanea. Dal 2008 presentano una mostra quadriennale che coinvolge artisti tedeschi e internazionali.
Il bunker è un luogo di contrasti, in cui grandi nomi dell’arte contemporanea sono inseriti in un ambiente che già di per sé è estremamente evocativo. Per questo non è un luogo facile, perché il rischio è che un luogo talmente ricco di storia e dall’aspetto così singolare assorba o attutisca il potere delle opere che accoglie. In realtà, il connubio ottenuto è molto interessante e alcune opere più di altre rimangono impresse, anche se non si possono fare foto o video all’interno (cosa che aumenta ancora di più l’auraticità di quel luogo).
Un esempio sono le opere iperrealiste di Anna Uddenberg: sculture a forma di manichini di giovani donne con attributi cyborg, in pose acrobatiche, con bastoni da selfie puntati sulle loro parti intime. Uddenberg affronta tematiche come il cyberfemminismo alimentato dal narcisismo dei social media, realizzando opere provocatorie e surreali.
Un’altra opera esposta è “The Allure of Matter” di He Xiangyu, un artista cinese che ha realizzato un progetto imponente, il cui risultato finale è una polvere nera collosa, ottenuta dalla bruciatura di tonnellate di uno dei simboli del consumismo moderno e della cultura occidentale: la Coca Cola. Ottiene così un cristallo nero iridescente, e nel bunker in una sala al terzo piano ne sono esposte qualche decina di kilogrammi.
Luce
C’è una Berlino buia, nascosta, privata, e una Berlino che si mostra, trasgressiva, gigante e luminosa. Un esempio è la mostra temporanea di Monica Bonvicini che occupa il piano terra della Neue Nationalgalerie intitolata “I do You”. Rimarrà fino al 30 aprile 2023 e si tratta di un’installazione site-specific che si propone come un’appropriazione femminista dello spazio progettato da Mies van der Rohe. Bonvicini, veneziana di origine ma con sede a Berlino, parte dall’edificio in sé, creando una nuova struttura all’interno del museo e rivalutandone lo spazio, mettendo in discussione un edificio simbolo di uno dei maestri del Movimento Moderno.
All’esterno della Neue Nationalgalerie, sulla facciata di vetro, un enorme specchio di 15 x 15 mt blocca l’ingresso, ma allo stesso tempo invita il visitatore ad entrare con la scritta “I do You”. Il vetro è la cifra caratteristica della Neue Nationalgalerie, e la stessa Bonvicini in un’intervista lo definisce un edificio voyeuristico, come un acquario. Per questo pendono dal soffitto 20 manette a cui si può essere legati per mezz’ora, rimanendo in esposizione, diventando parte dell’edificio stesso.
Oltre all’intervento architettonico sono presenti opere scultoree selezionate dall’opera di Bonvicini, con le quali i visitatori sono invitati ad interagire: amache di catene, sedie bondage, manette…Si trovano anche opere luminose, cinematografiche e sonore, che trasmettono la diversità mediatica di Bonvicini e mostrano alcune tra le sue tematiche più frequentate quali femminismo, architettura, e messa in discussione del ruolo dell’istituzione, di cui ne è un esempio questa ultima mostra.
Silenzio
Attraversando la caotica Potsdamer Straße un altro edificio simbolo merita senza dubbio una visita: è la Biblioteca di Stato di Berlino, un luogo di silenzio.
Progettata da Hans Scharoun tra 1967 e 1978, nel film Il cielo sopra Berlino è il quartier generale degli angeli, dove questi si mostrano e danno un po’ di sollievo alle persone. È un luogo architettonicamente impressionante, sterminato, in cui centinaia di studenti ogni giorno si ritrovano in un silenzio certosino. Il soffitto, costituito da strutture circolari che portano luce, sembra formare un universo.
Non si ha l’impressione di entrare in una biblioteca, ma in una fabbrica sterminata in cui regna il silenzio più assoluto, un allevamento intensivo di studenti, attraverso le cui file ci si può perdere.
Rumore
Un uomo si è fermato di fronte a una kebaphaus. Aveva i piedi piantati a terra e fissava il vuoto. Era mezzanotte. Poi erano le quattro e lui era sempre lì nella stessa posizione, in mezzo a un marciapiedi di Hermannplatz. Era immobile ma sicuramente stava camminando e vedendo mondi, i suoi piedi però erano di cemento e l’unico movimento che si concedeva era l’oscillazione a destra o a sinistra. Nel negozio in loop “Calm Down” di Rema, dava il ritmo ai movimenti automatici dei due ragazzi che si prestavano a sfamare clienti abituali delle tre di mattina.
Poco dopo, nella stazione della metro, un signore forza l’apertura del treno per far entrare un gruppo di ragazzi proprio mentre si chiudono le porte. La voce automatica che chiede di allontanarsi dalla porta si inceppa e inizia ad attivarsi di continuo durante tutta la tratta. Un musicista di strada suona musiche balcaniche sax nel vagone al ritmo incalzante di “Züruck Plein Bitte”, allontanarsi, prego. Non si è lasciato scappare l’occasione di avere una base ritmata, per il suo one-man show.
Un uomo, forse appena uscito dal Sex club Kit Kat, riprende questa scena surreale. Ecco un istante della Berlino notturna, quella quotidiana, calda.
Berlino è il luogo in cui tutti questi contrasti convivono organicamente. È fatta di moltitudini in movimento, di diversità in scambio costante, di colori e suoni tra loro divergenti, ma che si possono mescolare grazie ad un ambiente storicamente accogliente quale è questa città. Per esempio, due culture musicali molto distanti coesistono in armonia: i Berliner Philharmoniker e la techno music.
Può essere respingente a prima vista, ma sa sempre in che lingua (e in che musica) comunicare se scoperta con calma. Certamente non si può racchiudere in poche righe l’essenza di questa città, ma la sensazione che dà, in fondo, è quella di essere inafferrabile, fluttuante, come gli angeli di Wim Wenders.